sabato 21 agosto 2010

L'ARCINORMALE - I ben pensanti



Lidano Grassucci



Pubblico di seguito una nota di Dario Petti, lui viene dal Pci ed è di una generazione intorno alla mia. Interviene a seguito di un confronto aperto su queste colonne da mie considerazioni su Francesco Cossiga e dall’assalto conseguente di un mondo “eternamente politicamente corretto” nei miei confronti e in quelli di Cossiga. Come Dario sono stato un militante politico, anche se io ero menscevico, socialdemocratico, riformista e per tanti “servo della controrivoluzione”. Capita, e la cosa è una costante di chi in questo posto non sta con la (le) fedi ufficiali.
Riconoscendo a Cossiga il posto nella storia repubblicana che merita non ho abiurato alla mia storia, ai miei valori, e all’idea che avrei voluto “non morire democristiano”. Ma questo non mi ha mai impedito di riconoscere che la Democrazia Cristiana è stato un grande partito popolare e al suo interno c’erano interrogativi, attenzioni, speranze che erano, sono e saranno patrimonio dei democratici. Sandro Pertini è stato presidente della Repubblica, era socialista e questa cosa la spiegava così: “se vengono a chiedermi, a me socialista, di accettare la più grande giustizia sociale a scapito della libertà, io la rifiuterei perché non ci sarà mai giustizia senza libertà, se al pari vengono a propormi la liberta assoluta senza giustizia sociale, parimenti direi di no: non può essere libero un uomo che può solo morire di fame”. Ecco, continuo a pensarla così e la libertà, caro Dario, è prima di tutto riconoscimento della libertà dell’avversario, del nemico, di chi è diverso da noi. La libertà è un dovere civile nell’esprimere idee, se le ritieni giuste, anche se sono difficili.
Non sono più militante politico, noi socialisti non abbiamo più casa da tempo, siamo vittime di una diaspora che, credo, rende l’Italia povera, marginale e fuori dal contesto europeo. Ma nel dibattito su Cossiga la mancanza di una sinistra riformista, orgogliosa della sua storia e non accecata dalla sua retorica, è venuta fuori tutta. Pertini è stato socialista, ma ha combattuto nella prima guerra mondiale per l’Italia, ottenne la medaglia d’argento al valor militare, era politicamente scorretto? Essere internazionalista e combattere per la Patria, è bestemmia o umanissimo problema della coscienza? Gli uomini hanno valori che, spesso, creano conflitti contraddizioni contrasti, lacerazioni. A me piace Cossiga che dubbioso fa il dovere di ministro dell’interno su Moro (che uccidono le Brigate Rosse non i democristiani), ma sente addosso la ferita della coscienza da cattolico.
E’ la contraddizione, la lacerazione, di chi ha una coscienza e conosce il senso dello Stato. Da ragazzo mescevico e libertario mi innamorai di un cantante anche lui ereticamente menscevico, socialista liberale si definisce, e recitava così: “il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto | l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto | è un dio che è morto”. Ecco Dario questo Guccini lo scriveva nel ’65. Che devo dirti che quando ho visto la bara con  la bandiera della Sardegna e il tricolore repubblicano italiano mi sono commosso. E chiudo sempre con Guccini è un brano che riconosci:  “Da tutti gli imbecilli d' ogni razza e colore/dai sacri sanfedisti e da quel loro odore/ dai pazzi giacobini e dal loro bruciore/da visionari e martiri dell' odio e del terrore/da chi ti paradisa dicendo "è per amore"/ dai manichei che ti urlano "o con noi o traditore!"/libera, libera, libera, libera nos Domine!/ Dai poveri di spirito e dagli intolleranti/da falsi intellettuali, giornalisti ignoranti/ da eroi, navigatori, profeti, vati, santi/dai sicuri di sé, presuntuosi e arroganti/dal cinismo di molti, dalle voglie di tanti/ dall'egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti/libera, libera, libera, libera nos Domine!”.
Caro Dario ti ringrazio, sperando che un giorno ritrovi la mia sinistra, popolare, laica, libertaria, umana e riformista. Mi scuserai se ora con questa roba sanfedista, con questi rivoluzionari in Cadillac, non ho nulla a che fare, sono figlio di contadini. Giuseppe Saragat, primo socialista presidente della repubblica italiana (l’unico, o uno dei pochi, che conosceva Marx) chiudeva i suoi discorsi invocando “viva l’Italia, viva il socialismo”. Sono di questa schiatta. E, consentimi, ne vado orgoglioso.



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