Alessia Tomasini
I politici sono prodotti a lunga conservazione. L’ho capito meglio in questi anni. Li ho osservati, li ho studiati, ho cercato di capirli. Oggi sono in una fase di totale rassegnazione. Sino all’estinzione del possessore ufficiale di una poltrona non c’è speranza di vedere il successore. Lasciate perdere tutti quelli che parlano di rinnovamento, di dare spazio ai giovani, di novità, che vogliono mettere un freno a doppi e tripli incarichi. Tanto, alla fine, di sbarbatelli non se ne vede neanche l’ombra. Appena qualche giovane si affaccia alla porta delle elezioni ecco che questo o quell’apparato tira fuori questioni del tipo, “devi fare la gavetta” oppure “salta queste che ti candidiamo la prossima volta” o ancora “servono molte risorse per affrontare una campagna elettorale e a trenta anni dove li vai a prendere?”. Il punto è che da queste parti, ma anche in Italia, e basta pensare alla data di nascita del Berlusconi, si continua a fare confusione tra l’avere il senso della storia ed essere parte anagrafica della storia. Come pensiamo di parlare di innovazione e progresso con persone che hanno bisogno del sostegno per usare le mail. Come pensiamo di far passare il concetto di biomasse, energia alternativa, nanotecnologie a chi era abituato a prendere l’acqua con il secchio e il mulo? Faccio un esempio concreto. Tutti dicono che vogliono stravolgere la burocrazia, accorciare i tempi dei passaggi che vengono effettuati dagli Enti pubblici e poi per qualsiasi domanda si deve mandare un fax. Scusate ma non siamo nell’era dei computer? Dei cellulari che ormai fanno anche il caffè? Fatelo capire a quelli che vengono dalla classe 1950 queste cose. E poi la sindrome dei ricicloni. Guardiamo le liste elettorali, a destra come a sinistra. Spuntano i soliti noti, da Mansutti a Visari per Il Partito democratico, dai Tiero ai Corato per il Popolo della libertà. Il resto nessuno li conosce. Si passa da un eccesso all’altro e la lunga conservazione aiuta anche in questo.
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