lunedì 16 febbraio 2009

Bersani e la sinistra che non osa

Lidano Grassucci


C’è voglia di Sinistra a Latina. Ieri la sala conferenze del Palacultura, con Bersani, era piena. Certo gli organizzatori potevano “osare” di più. Ma proprio qui è il nodo, il problema. La sala era piena ma non c’erano simboli, l’oratore era di livello, sarebbe un leader anche nel new labor inglese, nel Pse spagnolo, nella Spd tedesca. Insomma nulla da dire. Ma è nell’ “osare” la differenza. Il Pci “osava” con prove di forza, bandiere, inni, simboli ovunque per cui ti “sentivi a casa” nel partito. Anche la Dc, osava, la croce, il candore del bianco, la difesa della Fede.
Ecco che mancava ieri, ecco perché, non osano: mancava una emozione, un entusiasmo. Mancava la “redenzione delle genti”. Ieri Claudio Magris su Il Corriere della Sera segnalava come era “più facile” la resistenza di chi stava dentro una idea, dentro un partito. E’ come, diceva, stare in battaglia con la solidarietà dei propri commilitoni, sotto la propria bandiera.
Ecco, mancava, questa cosa ieri. Mancava l’idea che “esiste una speranza”. Bersani viene dall’Emilia Romagna, viene dal luogo in cui la grande tradizione riformista è riuscita a diventare pragmatismo di governo senza rinunciare all’utopia. Viene dalla terra di Andrea Costa, il primo socialista in parlamento, figlio di quel socialismo che sapeva poco di Marx tanto di Bakunin. Quel socialismo umanitario che era tutto e solo “redenzione delle genti”, che era speranza per il futuro. Questo manca, la speranza. Il pragmatismo di Bersani è intelligente, è razionale, è realistico, ma gli uomini vivono, si uniscono, combattono, si sentono parte di una speranza. Altrimenti? Non c’è ragione di “unirsi in fitta schiera” come diceva Turati.
Ma non è moderno? Obama è moderno? Lui ha vinto sulla speranza, ha promesso un’America nuova. Il centrodestra italiano è pieno di simboli a partire dal lessico: “Forza Italia”, “Padroni a casa propria”, “meno Stato”. La sinistra? Ieri dietro Bersani c’era scritto: “La crisi c’è, il Governo no”.
Come entusiasmarmi con sta roba, come sentirmi parte di una battaglia, come sentire l’idea di futuro?
“Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer. Il Pci è grande e vincerà” questo è uno slogan, significa essere parte di una storia lunga e coerente. Lo dico da menscevico, da acomunista (come diceva Riccardo Lombardi). Ma lì c’era entusiasmo, qui no.
Nelle assemblee di Forza Italia ci sono le bandiere, gli inni, ci sono i gadget. Loro, il centrodestra, è una parte. Serve l’altra. Perché senza alternanza, senza una sinistra credibile si rischia di fare come il Venezuela, con i capi a vita. E questo non è bene, i laburisti governano, ma sanno che prima o poi arriveranno i conservatori e viceversa. L’Spd governa, ma sa che prima o poi toccherà ai democristiani. Berlusconi governa, ma deve mettere in conto che prima o poi arriveranno altri.
E’ la vita, è la politica, ma se non hai un sogno, se non hai una speranza, tutto è solo potere.

Nessun commento:

Posta un commento