venerdì 2 gennaio 2009

Il senso di una foto che non c’è

Lidano Grassucci


Anno nuovo ritorno all’etica vecchia. Ci spieghiamo, siccome crediamo che l’informazione debba essere libera, per esserlo non deve abusare della libertà. Perché tutte le libertà se non autogovernate nel limite delle altre libertà in gioco diventano abuso e dopo l’abuso arriva, sempre, come una cambiale, il censore. Noi oggi non pubblicheremo la foto della bimba di 12 anni coinvolta nell’incidente di capodanno. Perché i bambini, le tragedie dei bambini, non debbono servire a vendere o a far leggere un giornale in più. Quella foto nulla aggiunge e nulla toglie rispetto alla tragedia che da due giorni raccontiamo, se mai c’è sul giornale rende solo ignobile questo lavoro. Dobbiamo cominciare a difendere noi stessi difendendo la dignità e la libertà delle persone coinvolte. Non faremo sconti ai furbi, ai banditi, ma cercheremo di tutelare i minori, quelli che per accidente incappano in inchieste (talvolta anche strampalate) senza aver commesso alcun reato.
L’anno è nuovo, noi non vogliamo essere boia, giudici, poliziotti vogliamo essere giornalisti. Nel senso che dobbiamo raccontare, anche commentare, ma non possiamo diventare sacerdoti di una moralità che non è umana, non è di questo mondo ma che è l’alibi per cancellare la libertà e la dignità degli altri.
Non metteremo la foto della bimba morta con le stesse ragioni per cui giudichiamo innocenti tutti coloro che ancora non hanno risposto ai rilievi dell’accusa con le ragioni della loro difesa. Vogliamo riportare le tesi di chi fa rilievi tanto quanto quelle di chi li contesta. Per questo non giudichiamo mafiosi i consiglieri comunali di Fondi, non riteniamo che chi amministra e non è mio amico è ladro, furfante o ignobile.
Insomma continueremo ad essere garantisti a preoccuparci davanti a giornalisti-giudici, a galeotti-morali, a giornalisti con il diritto di sputtanare il prossimo.
Tutto intorno ad una foto? E’ un simbolo, ci sono tanti limiti a questo mestiere: uno è la pietà, il rispetto per il dolore. Quel rispetto che chiederemo per noi e che, necessariamente, dobbiamo riconoscere ad altri.
Parigi è troppo poco per una messa.

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