lunedì 30 novembre 2009

Minareto e occidente



Lidano Grassucci


Quanto è alto un minareto? E’ occidente o è oriente un minareto?
Quando i cristiani presero Granada ai mori c’erano 20 bagni pubblici, poi ne rimasero aperti due.  Chi era civile e chi no? Non ho risposte a questo, posso contare i bagni. Quando vedo le donne afghane bardate in quel modo penso che nessun creatore voglia nascondere il suo creato. Come se Michelangelo bramasse di coprire con una mano di bianco la Cappella Sistina. Gli svizzeri non vogliono i minareti, vogliono che si preghi tutti allo stesso modo. Ma in Svizzera i cattolici pregano i santi, i luterani no, quelli di Calvino a Ginevra hanno un’altra variante per guardare il cielo. La Grazia a Ginevra è dono apriori del Signore e si legge con il successo, a Lugano si conquista con l’allenamento dei sacerdoti. Di cosa parliamo allora, di quale purezza? Sono di quella piccola parte di italiani che prega poco e cerca il signore altrimenti, ma non sono meno italiano di chi va a Messa tutti i giorni. Non sono meno italiano degli ebrei di Roma che stanno da quelle parti da oltre 2000 anni. E non sono meno patriottici e italiani i protestanti delle valli piemontesi che appresero della pietà da Valdo ancor prima che Lutero facesse le sue bolle. Confondiamo il modo di pregare con l’appartenenza ad una comunità. Confondiamo la coscienza con il vivere civile. Le religioni quando chiedono l’esclusiva generano guerra, diventano inumane, aumane. A Roma c’è un tempio, il Pantheon, dove ciascuno andava ed in coscienza pregava come voleva. Non è occidente quello? A Roma per secoli volevano convincere gli ebrei a farsi cristiani e non consentivano loro di farsi la sinagoga, per il fatto che stonava con San Pietro. Nel 1870 Roma è diventata italiana, il tempio grande è lì sul Lungotevere: l’Italia è meno Italia per questo? I cristiani ne hanno tratto nocumento?
A Roma c’è una grande moschea, è di Portoghesi è pure bella, per questo Roma è meno cattolica ed apostolica? A Gerusalemme ci sono chiese, moschee e sinagoghe è meno sacra per questo ai cristiani, è meno importante per gli ebrei, è meno sentita per i seguaci di Maometto?
Ditemi che cambia dell’umano nel modo di pregare un Dio che tutti ritengono uno?
I deboli hanno paura del confronto, hanno paura dell’altro gli insicuri.
E sono uno che quando abbiamo liberato, in armi, l’Afghanistan dagli inumani talebani ha gioito, in nome della libertà. Per quella stessa libertà credo che la Svizzera abbia fatto una scelta talebana, una scelta di paura, inumana.
Odio le guerre sante in nome del Profeta, ma non mi fanno meno impressione le crociate. Su tante cose ho opinione ma su Dio, sulla coscienza no, ciascuno ha la sua risposta. Gli svizzeri non brillano per apertura mentale infatti, per dirla con Umberto Eco, hanno dato all’umanità l’orologio a cucù, noi Michelangelo. Ci sarà una ragione.

Scm, il futuro è vicino


Teresa Faticoni
Quando la politica gira la faccia dall’altra parte per non vedere quali sono le sue mancanze, restano solo le ombre. E sono spaventose. Alla Scm non è mai arrivato un centesimo di tutti i soldi promessi per la riconversione della ex Gambro, nel momento in cui il coraggioso Claudio Meli rilevò lo stabilimento di via Appia. Ieri si è tenuto in prefettura un incontro nel quale l’imprenditore ha ribadito come non sia più possibile per lui anticipare i soldi per la cassa integrazione dei dipendenti. O si pagano le retribuzioni che dovrebbe pagare l’Inps, o si procede con il progetto industriale. Un progetto che i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Confail definiscono assolutamente credibile e positivo. Basti pensare che la vicina Smiths medical ha già commissionato alcune produzioni. Meli ha garantito solo per questo mese l’anticipo dei soldi, poi vuole investire sul futuro del biomedicale. «Domani (oggi per chi legge ndr) come Cgil, Cisl e Uil – ha dichiarato Roberto Cecere segretario Femca Cisl – invieremo una richiesta di incontro urgente in Regione Lazio per far anticipare i soldi o ottenere un finanziamento tramite Unionfidi». «Noi faremo la nostra parte» promette Cecere. «Abbiamo chiesto – ha specificato Pietro Galassi della Confail – che al tavolo di concertazione sia presente il prefetto come figura di garanzia. In pochi giorni si è fatto di più di quanto ottenuto in 17 mesi. Ringraziamo tutti». 

Agitazione al Fermi di Formia


Martedì 1 Dicembre

Raffaele Vallefuoco

Gli studenti del Fermi di Formia sono in stato di agitazione. Ieri la protesta ha raggiunto il culmine. All'apertura dell'istituto, infatti, il personale non docente ha rinvenuto un lucchetto che negava di fatto l'accesso. Vedutisi interdetti l'ingresso hanno allertato le forze dell'ordine. Sul posto sono intervenuti alle 7.50 i vigili del fuoco del distaccamento di Gaeta, seguiti dagli agenti del commissariato di polizia di Formia, diretto dal vicequestore Paolo Di Francia. I vigili, rotta la catena, hanno reso possibile il regolare ingresso a docenti e operatori. Tra gli studenti, però, il malumore era palpabile e così una delegazione si è riunita con la preside Emma Filomena Livoli per studiare sinergie comuni da mettere in campo. I motivi della protesta? Almeno due le questioni: impossibilità di svolgere educazione fisica e mancanza di distributori all'interno dell'Ipsia. In particolare preme agli studenti praticare, come da orario, la lezione di educazione fisica. «Una materia a tutti gli effetti» spiegano con uno striscione. Ma adesso è impossibile. Il cancello principale è interdetto da mesi per lavori e l'accesso al Fermi è possibile solo dall'entrata secondaria, il cui ingresso implica necessariamente l'attraversamento del campo di gioco utilizzato per le ore di sport. Per questo ieri gli studenti sono passati alle maniere forti. Una strategia d’azione che, però,  oltre a contravvenire al diritto  allo studio dei colleghi, potrebbe portare ad una denuncia per interruzione di pubblico servizio contro ignoti. «Siamo stanchi» ci spiega una studentessa ferma all'ingresso. «Due mesi fa, in seguito ad un altro sciopero e all'assemblea, ci avevano assicurato che la situazione sarebbe tornata alla normalità. Ma così non è stato» analizza amareggiato un altro allievo. Le proteste, perciò, potrebbero continuare.

giovedì 26 novembre 2009

Sinistra e destra dispari sono


 Lidano Grassucci

Sinistra o destra? Iniziamo: sono luoghi fisici rispetto a chi guarda. Nel parlamento inglese chi stava “contro” il governo, era a sinistra, chi stava a favore stava a “destra”. E chi era “contro”? I rappresentanti della trade union dei sindacati, dei lavoratori, i laburisti.
Così chi stava con gli ultimi ha cominciato a sedersi dalla parte “contro. Norberto Bobbio la spiegava così: puoi stare dalla parte del popolo o dalla parte del Re.
Va da se che queste cose si scelgono di getto, per amore, se vogliamo usare termini sentimentali. C’è un certo fascino nello scegliere il Re, il capo, l’idea dell’obbedienza, della fedeltà. Ma non mi appartiene, non ci riesco. Mi sono interessato all’idea di rivoluzione liberale di Berlusconi, ma mai al principio che “uno comanda”. Non fa per me, mi piacciono i cori meno i cantanti solisti, anche se riconosco la grandezza di Caruso.
“Contro” sono nato: contro l’idea che siamo diseguali; contro l’idea che c’è chi nasce avanti. Tutti sulla stessa linea, poi i talenti portano a distanze differenti (si nasce eguali, ma non si muore identici). Credo che ogni uomo ed ogni donna abbiamo un dono che è loro dovere coltivare.
 “Da ciascuno a seconda delle proprie capacità, a ognuno a seconda dei propri bisogni”, l’ha buttata giu’ così Carlo Marx un po’ di tempo fa. Ecco, se la pensi così, se credi che non ci siano ultimi e primi stai a sinistra. Se credi, poi, che l’eguaglianza sia inscindibile dalla libertà allora sei di quella sinistra liberale che gioca, in Europa, a governare in alternativa alla destra liberale che pensa che per la libertà si possa mettere in gioco un pezzo di eguaglianza.
Non è né di destra né di sinistra pensare che lo Stato ha come confine la libertà della persona, che non è compito dello Stato la fede, il modo in cui si fa l’amore, in cui si decide di morire. Questo è semplicemente quella sfera intangibile dell’autonomia dei singoli. Una certa sinistra (quella che ha problemi con la libertà) ritiene che in nome dell’eguaglianza, della virtu’, si possa entrare in questo ambito. E’ quella sinistra che in nome del giusto, giustifica il torto di uccidere le libere energie della comunità. E’ la sinistra che si ritiene “eticamente” superiore e non (come credo dovrebbe) politicamente piu’ attrezzata.
Ricordate Orwel: “tutti gli animali sono eguali, ma i maiali sono piu’ eguali degli altri”.  Questa sinistra non condivido, è distante da me. È violenza, è arbitrio, è grassa.
Queste cose di cui parli dove sono? Non ci sono, la sinistra italiana è conservatrice, auto referenziata in classi dirigenti mummificate e la destra ha ucciso la rivoluzione liberale in una idea  inquietante di società gerarchicizzata con tanto di culto della personalità.
Abbiamo inventato il bipolarismo triste.

mercoledì 25 novembre 2009

Trans e iperpolitica

Lidano Grassucci

La politica può essere una tetta Pirelli gonfiata a 20 atmosfere.
Ho visto a Porta a Porta il trans, Natalì, che è al centro dell’affaire Marrazzo.  Ho seguito le sue movenze, il suo ragionare, l’interesse dell’intervistatore. Mi sono fermato per capire: ma cosa ha a che fare questo con la politica? Con il vivere civile? La politica è, per me, seduzione delle idee, è piacere di sfida, di fantasia, è come una fiaba: immaginazione. Lì, in Tv, non c’era nulla di tutto questo: iperdonne senza femminilità; iperpolitici senza politica; ipergiornalisti senza racconti.
Come se tutto fosse gonfio. Non c’era nulla dell’umanità per cui è nata la politica, non c’era neanche il volo ipotetico del tacchino.
Ecco, forse quel che voglio dire è questo: la politica è volo per vedere l’orizzonte lontano, è rapace anche la politica come una civetta. Quella che ho visto, invece, è grasso, è ipervitamico grasso, il tacchino non vola per il peso del suo sedere. Un’idea di domani bloccata a terra, inchiodata dal suo peso. Nulla era interessante per me, per noi, per la città. Non c’era nessuna ipotesi di vivere comune. Marrazzo davanti ai casi suoi, il trans davanti ai casi propri, i commentatori alle prese con i casi propri, il conduttore che pensava ai casi suoi. Erano tutti, tremendamente soli, erano solitudini che ragionavano da sole. La politica per me è stata un sogno collettivo, un sogno che faceva di tanti una forza sola.
Quello che ho visto è solitudine siliconata, una ipersolitudine di un povero mondo.
Sono moralista? No, sono uno innamorato della politica, delle idee della seduzione delle idee. Non dell’iperpolitica, ma di quel sogno collettivo di domani che è il più grande amore che si possa provare.

In galleria “Generazione anni Quaranta”

Saranno presentati oggi alla “Palumbo Scalzi” il secondo tomo del volume e l’opera completa “Storia dell’arte italiana del ‘900 per generazioni”, Edizioni Bora Bologna, di cui è autore unico Giorgio Di Genova

Luisa Guarino

La galleria Lydia Palumbo Scalzi di Latina, in Via del Lido 37, ospiterà alle 18 di oggi la presentazione del II tomo del VI volume, “Generazione anni Quaranta” e dell’opera completa “Storia dell’arte italiana del ‘900 per generazioni” da parte del suo autore, Giorgio Di Genova. L’opera è ormai diventata a giusto titolo ‘l’insostituibile ricostruzione storico-critica’, unica nel suo genere, e un saldo punto di riferimento per studiosi e appassionati d’arte, ai quali viene offerta una lunga e dettagliata panoramica dell’intero arco cronologico dell’arte italiana contemporanea, dal 1875 ad oggi, con la presenza di circa 3800 tra pittori, incisori e architetti. Alla presentazione di oggi pomeriggio interverranno, oltre all’autore, l’editore di questa monumentale opera, Edoardo Brendani, per le Edizioni Bora di Bologna; Renato Mammucari, storico dell’arte e massimo esperto dei XXV della Campagna Romana, alcuni dei quali citati proprio nel primo volume dei “Maestri storici”; l’assessore alla cultura del Comune di Latina, Bruno Creo.
La presentazione offrirà anche l’occasione per vedere, per quanti non ne avessero ancora avuto l’opportunità, o rivedere, la mostra di Fernando Falconi “Astrazioni compositive” inaugurata un mese fa, che si concluderà il 30 novembre, accompagnata in galleria da un bel catalogo Gangemi Editore, con introduzione critica di Azzurra Piattella. L’artista pontino fra l’altro è presente proprio nel volume degli anni Quaranta della collana “Storia dell’arte italiana del ‘900 per generazioni”. La splendida opera è strutturata in 7 volumi, per complessivi 10 tomi, comprensivi dell’Indice generale, attualmente in preparazione. La collana “Storia dell’arte italiana del 900” è un’opera assolutamente nuova che, con la sua originale impostazione, si propone di evidenziare tutte le esperienze e le personalità artistiche italiane del XX secolo, senza tralasciare quelle cosiddette ‘minori’. Un taglio generazionale, intendendo per generazione l’insieme degli artisti nati in un decennio (ad esempio “Generazione anni Quaranta” di cui proprio oggi viene presentato il secondo tomo) rappresenta anche un’efficace prospettiva di analisi tesa a evidenziare il rapporto dialettico esistente fra tendenze (Futurismo, Metafisica, Astrattismo, Informale…), istituzioni (Biennale, Triennale, Quadriennale…) e vicende personali dei singoli artisti, al fine di riconsiderare in maniera globale l’arte italiana del ‘900.


Le grandi pulizie di Natale

Pontinia


Due fine settimana per liberarsi dai rifiuti ingombranti. Il Comune e la Trasco propongono le oasi ecologiche itineranti

Maria Corsetti


Quattro giorni dedicati a svuotare le case dai rifiuti ingombranti, due fine settimana in cui diverse zone di Pontinia si trasformeranno in isole ecologiche itineranti. Un’iniziativa - a cura del Comune di Pontinia e della Trasco, la municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti - mirata a sensibilizzare i cittadini, a incentivarli all’utilizzo di un servizio pubblico e gratuito che permette di  svuotare le case di oggetti ingombranti e vecchi, senza degradare l’ambiente. Via quindi vecchi televisori, computer ormai superati, reti e materassi, e tutto quanto purtroppo vediamo spesso abbandonato ai margini delle strade, nei fossi, a testimoniare una completa disattenzione per il mondo nel quale si vive. Le isole ecologiche itineranti - previste dalle 10 alle 16 di sabato 5 dicembre a Piazza Kennedy, di domenica 6 in Via Moro, di sabato 12  in Zona Cotarda e di domenica 13 in Zona Quartaccio - sono state presentate dall’assessore all’ambiente del Comune di Pontinia, Valterino Battisti e dall’amministratore unico della Trasco, Sebastiano Gobbo. “Questi due fine settimana dedicati alla raccolta dei rifiuti ingombranti - ha sottolineato Battisti - vogliono essere un ulteriore suggerimento ai cittadini di utilizzare quanto già possono richiedere ogni giorno, ovvero il ritiro da parte della Trasco dei rifiuti ingombranti. Alle volte magari non ci si pensa, organizzando quattro giornate si porta sotto i riflettori un servizio di cui come amministrazione andiamo orgogliosi, considerando che la raccolta differenziata, da quando è partita in maniera capillare lo scorso giugno ha registrato un 45% di rifiuto selezionato. Un risultato ottenuto con una spesa minima, relativa all’acquisto dei contenitori e delle buste”.  Nelle isole ecologiche itineranti si daranno anche informazioni sulla differenziata. Come ha spiegato Sebastiano Gobbo: “Prima dello scorso giugno non era stato posto l’accento sulla questione legata alla formazione, che invece è importantissima. Bisogna invertire l’ottica, è necessario vedere una risorsa nei rifiuti, non un problema. Ricordo che tutti i nostri servizi sono totalmente gratuiti per il cittadino, che può telefonarci ogni giorno per chiedere di andare a prelevare i rifiuti ingombranti al suo domicilio”.
In attesa che la telefonata alla Trasco diventi un’abitudine, meglio farsi vedere, raccontarsi, per questo sono stati scelti due fine settimana. “Fare una manifestazione di sabato e di domenica - ha spiegato l’ingegner Corrado Corradi, capo settore del Comune - significa venire incontro alle esigenze della famiglie, impegnate con il lavoro durante la settimana. Abbiamo concentrato le isole nei giorni festivi, ma ricordiamo che nei feriali il servizio è comunque attivo. Abbiamo dovuto mettere in campo un grande sforzo organizzativo per non aumentare i costi. Il risultato è stato che i costi oggi sono in diminuzione. Mentre infatti prima c’era una spesa fissa che era quella della discarica di Borgo Montello, oggi trattiamo con diversi conferitori, a seconda del rifiuto, e trattiamo su prezzi diversi”.
Ma andiamo a vedere come procede in città la raccolta differenziata. Innanzitutto va precisato che è partita a pieno regime sono nel centro urbano, quindi è interessata circa metà della popolazione. Ma i risultati in pochi mesi sono stati strabilianti: un 45% che fa ben sperare circa gli esiti futuri. Quanto alla popolazione che vive in campagna c’è ancora da studiare una soluzione ottimale. Non che non si possa accedere alla raccolta differenziata, ma l’estensione del territorio presenta problematiche diverse da quelle del centro. Quanto ai sistemi di raccolta sono stati organizzati diversi cassonetti a seconda del rifiuto dove ogni giorno il cittadino può versare senza che la città subisca un degrado estetico.
Con risposte così immediate da parte della cittadinanza non è utopia pensare di arrivare al conferimento personalizzato dove chi più differenzia meno paga. “E’ un’esperienza - ha spiegato Gobbo - che nel Nord Italia sta andando benissimo, ma lì sono partiti con la differenziata venti anni fa. Ma questo non significa che noi non possiamo recuperare sul tempo”.

APRILIA Sherwin Williams, venerdì tavolo in prefettura


Convocato per domani alle 11.30 il tavolo in prefettura per la messa in liquidazione della Sherwin Williams, l'azienda di via Guardapasso ad Aprilia, la cui chiusura è stata annunciata all'improvviso qualche giorno fa e a cose ormai avventute. 
68 i dipendenti che rischiano seriamente di rimanere senza lavoro. Per protestare contro la decisione della multinazionale americana, che trasferirà la propria produzione in Cina, è stata indetta un'ora al giorno di protesta. Nel frattempo, l'azienda ha comunicato di mantenere la rete di vendita in Europa. Una situazione che i sindacati non hanno alcuna intenzione di accettare. Al tavolo in prefettura parteciperanno i delegati sindacali, l'azienda e il sindaco di Aprilia Domenico D'Alessio.
 

martedì 24 novembre 2009

Non prostituite Latina


 Lidano Grassucci

Ci sono già le luci del Natale, la gente indossa il centro storico come si fa con il salotto di casa quando hai gli ospiti. Scarpe nuove, paletot conseguenti. Il centro è il luogo di quegli appuntamenti non dati, dove trovi le persone senza dirlo prima. Il centro di una città non è un luogo è un bisogno. E’ la testa. Latina ha una testa larga, una testa piena d’aria: calda quando c’è il sole, pulita quando il vento fa da spazzino. E’ bello il centro di Latina per il suo silenzio, per quella dimensione dilatata che non ti soffoca. E’ sempre vuoto anche quando è pieno di gente e di auto, non offende.
Le strade del centro di Latina se le rendi orfane delle auto appassiscono come certi fiori senza acqua. Non c’è luogo più triste dei giardini pubblici, dei giardinetti, sono niente verde, sono inanimati. Latina è il movimento delle auto, è il rumore attutito del motore, è macchina. Anzi Latina è una macchina che ha come sangue il corso ininterrotto delle auto, è città di auto.
E i pedoni? Hanno i portici, percorsi protetti dal sole d’estate e dalla pioggia d’inverno. I pedoni non camminano sulle strade le “impegnano” dei luoghi di scambio. Latina non è neanche nata per i residenti ma per i luoghi pubblici: non c’è una civile abitazione a Piazza del Popolo, vale lo stesso per Piazza della libertà e potrei continuare. Latina è una macchina fatta per le macchine.
Per questo le strisce blu non hanno spazio, non hanno senso, non sono giuste.
Vorrei la mia città come era, aperta. La vorrei generosa, la vorrei come era quando ospitava la gente di Gaeta ed era Gaeta, di Sezze ed era Sezze, di Piazzola sul Brenta ed era Piazzola sul Brenta, di Tripoli ed era Tripoli, di Pola ed era Pola. La vorrei come era Milano di Dalla: “fai una domanda in italiano e ti rispondono in siciliano”.
Mi chiedo qual è il filo di questo posto? La generosità dell’accoglienza, la capacità si essere città non di tutti ma di ciascuno.
San Paolo si è fermato a Borgo Faiti, andava a Roma. Non gli hanno chiesto come pregava, non gli hanno chiesto da dove veniva, dove stava andando. Qui non si chiedono queste cose, qui lo spazio è fermo qui non  si può far pagare l’unica cosa che non è economica perché abbonda: lo spazio.
Ci sono i manifesti con lo slogan “Amo Latina”, chi ama Latina ama una donna giovane e capricciosa, una donna che ammalia i viandanti ma non chiede pegno a chi si ferma. Latina non chiede promesse eterne di fedeltà, ma offre il piacere di quel vento che pulisce le strade larghe, il conforto di quei portici che coprono dal sole quando picchia.
Non fate pagare Latina, non è una puttana ad ore è una città bambina che sta diventando grande e civettuola, non merita il meretricio del suo corpo.

domenica 22 novembre 2009

A un Sindaco a strisce blu


Fabrizio Bellini

Signor Sindaco Zaccheo, la prego, aggiunga i miei al coro dei lai che si affollano, pressanti, sul suo tavolo di primo responsabile dell’amministrazione cittadina. Ripeto, la prego, non sia “insensibile al grido di dolore che da tante parti” del centro di questa nostra neo-blu-striata città si “leva verso di” lei: cancelli le strisce blu dai parcheggi. Non tutte, ma almeno quelle di ultima generazione. Rinfoderi il pennello e spruzzi acqua ragia. Solo alcune delle idee che le vengono in mente sono buone idee e in ogni caso, non tutte le buone idee si possono realizzare: impunemente. Se le strisce blu, così come sono, le ha pensate lei, faccia penitenza, se le ha suggerite qualcun altro, provveda a fargliela fare. Mi scuserà, ma siamo un po’ scocciatelli. Le spiego perché proponendole un esempio emblematico. Il sindacato agricolo che ho l’onore di presiedere, Confagricoltura, impiega quattordici persone. I nostri “cugini”, che lavorano nello stesso fabbricato, via Don Minzoni 1, altrettante se non di più. C’è poi uno studio tecnico e un’altra associazione; siamo in tutto una sessantina di persone. Scaliamo le coppie e diciamo cinquanta automobili che, moltiplicate per i duecentosessanta euro, tariffa agevolata, che la sua amministrazione pretende per parcheggiare, fanno tredicimila euro l’anno. Mille e cento euro al mese. Per stare sul posto di lavoro. Non per arrivarci, sia chiaro, ma solo per starci. E questo in un solo, piccolo, stabile. Quanti uffici, negozi ecc. ci sono in centro a Latina? Impiegati, operai, commesse, fattorini, infermieri, segretarie, apprendisti, giornalai, autisti, baristi, barbieri, giardinieri, camerieri, generici vari, che crede, che abitino tutti a piazza del Quadrato o che in centro ci vengano a lavorare? Avete inventato un nuovo balzello sul lavoro? E’ una nuova tassa, finanza creativa, sindrome da spremitura, impulso alla vendemmia perenne, turbe da onnipotenza, o che altro? Fatto sta che molti di noi e certe categorie in particolare, questi soldi non li possono pagare. Non li devono pagare. Sarebbe bene che lei se ne convincesse e recuperasse quantomeno il termine: esenzione. Se non vuole sverniciare, almeno, esenti. Provi a considerare le fasce di reddito, i luoghi di residenza e le opportunità di lavoro. Sindaco, ma veramente vuole prendersi ventidue euro al mese anche da un Co.co.co che di euro in un mese ne vede sì e no cinquecento e deve viverci a Borgo Montello? O da un serrandista che in tutto possiede un’Apetta? Ma viaaaa, non si toglie alla gente anche la colazione del mattino! Si inventi qualcosa e lasci stare almeno gli spicci. Stupisce poi, che siffatta iniziativa sia benedetta da una persona come lei il cui impegno a favore delle fasce deboli è, o era, noto a tutti coloro che l’hanno votata. Onorevole Zaccheo, che le è successo?  La sua “grinta” che fine ha fatto? Dopo il Sindaco poliziotto, che c’era tanto piaciuto, il Sindaco posteggiatore ci fa una magra figura. La parola, precariato, non le dice più niente? E “non ce la faccio più a mettere insieme il pranzo con la cena”? Beh, faccia lei. Meraviglia ancora di più il soporifero silenzio-assenso dell’opposizione che su questo provvedimento avrebbe dovuto alzare le barricate. Ma sono diventati consociativi. Evidentemente la pensano come lei: in centro solo i ricchi, tariffa piena cinquecento euro. Tollerati i benestanti, tariffa ridotta duecentosessanta euro. I meno abbienti? A piedi. I poveri? A dormire all’ex Consorzio agrario. Però in centro. Aveva ragione il compianto e indimenticabile Sabino Vona: gli uomini del Pd coltivano la strategia del lungo sonno. Non vogliono disturbare, sono discreti e non li svegliano neanche le cannonate. Quando apriranno gli occhi, si stireranno e fonderanno un nuovo partito che “nasca dalla gente” e che “stia tra la gente”. Come l’attuale! Poi, all’improvviso, un sussulto, inquadrano la realtà, li sfiora il venticello del ridicolo e “cacciano” i gazebo per fare in piazza quello che non hanno fatto in aula consiliare: casino contro un provvedimento ingiusto. E, ammesso che non si riappisolino, questa volta avranno successo. E i sindacati sociali? Ahhh, dimenticavo, sono molto impegnati nei picchetti fuori dalle fabbriche chiuse. Non si parla altro che di interesse dei cittadini, di bene comune, e poi si scopre che, né a destra né a manca, si ha uno straccio di idea condivisa. Neanche sulle piccole cose. Poi, un giorno, si vota, e allora … Signor Sindaco, Onorevole, non voglio scocciarla ulteriormente perché so che non ha tempo libero e io scrivo solo frescacce. Quello che volevo dirle, glielo ho detto, se vuole, ci pensi. La saluto rispettosamente con una frase che ha scritto il Presidente Fini, che so esserle caro, nella prefazione al saggio “Economia sociale di mercato” che il Prof. Pietro Armani scrisse nel momento in cui Alleanza Nazionale stava per assumere importanti responsabilità di governo, centrale, regionale e locale: “L’economia sociale di mercato si regge sulla libera iniziativa economica e sulla difesa della proprietà privata coniugate con quelle che sono le esigenze della solidarietà… un corretto rapporto tra cittadini, istituzioni e imprese passa attraverso il recupero dell’idea partecipativa”. Era il 1995, Sindaco, lei c’era e Fini vi parlava di solidarietà e di corretto rapporto tra cittadini e istituzioni. Allora il Presidente vi consegnava un dettato usando un linguaggio raffinato e complesso che, forse, non è ben penetrato. Chissà, oggi, che ha adattato le parole alla sensibilità di “torpigna”, che vi direbbe. Caramente, Fabrizio Bellini

sabato 21 novembre 2009

Al Galilei arriva l'ispettore: dirigente scolastico sulla graticola

Mala tempora currunt per il dirigente scolastico dell’istituto tecnico industriale Galileo Galilei di Latina. La drammatica e amara storia di una professoressa che per vedere riconosciuta solo una parte - solo una parte, sic - dei suoi diritti è dovuta ricorrere ai tribunali amministrativi, civili e penali sta finalmente vedendo una luce alla fine del tunnel. Dopo la sentenza del tribunale del lavoro, che condannava il dirigente per non aver riconosciuto il diritto alla malattia e a permessi (prefigurando anche una ipotesi di mobbing) arriva il momento del redde rationem. La donna, malata da anni e invalida, aveva chiamato in causa la presidenza del consiglio dei ministri, dipartimento della funzizone pubblica, ispettorato per la fp. La risposta è arrivata. E ha il sapore giusto della giustizia. La presidenza ha avviato un intervento richiedendo al  Ministero dell'Istruzione - Direzione Generale per il Personale Scolastico - di “...verificare la congruità delle decisioni assunte dal preside rispetto alle norme regolatrici di comparto”. Il ministero non si è fato attendere inviando in via Ponchielli “una visita ispettiva presso l’itis Galilei al fine di verificare l’operato e la capacità dirigenziale del dirigente dell’istituto stesso”. Per leggere tra le righe qui non c’è in ballo solo la triste storia della professoressa che stava per perdere lo stipendio a causa del capriccio del dirigente. In discussione c’è proprio l’azione complessiva del preside - come si chiamava una volta - e per chi scrive anche l’attitudine umana a ricoprire un ruolo così delicato. Le storie, poi si accavallano e si intrecciano. Perchè cominciano a emergere dalla pentola carenze e mancanze nella trasmissione di atti dovuti, salvo poi richiedere alal ragioneria - con un accanimento che sa di mefistofelico - di ridurre lo stipendio della docente. Il dirigente costerà alle casse pubbliche tantissimi soldi. A questo punto, considerando che voleva risparmiare sulla pelle della professoressa, non esiterà a pagare di tasca sua.

Gerarchie e chiese basse





Lidano Grassucci






Ho qualche problema con l’ordine, con le gerarchie. Non riesco a capire il prima e il dopo. E’ un difetto? Credo di sì, ma da cosa deriva?
Credo che ciascuno di noi sia plasmato dai posti in cui è cresciuto in quella età in cui ti fai un’idea di cosa è il mondo, dai 5 ai 16 anni. Per me non c’era un segno della “filiera di comando”. Le chiese erano tante e piccole, il municipio era un angolo di piazza, neanche il più bello e per entrare si “scendeva” di qualche gradino. E non c’erano castelli. Se dal basso guardi il posto da dove vengo vedi le case, non ci sono campanili, vedi le case che fanno corpo, comunità.
A Sermoneta, dal basso vedi il Castello, a Terracina dal mare vedi il tempio di Giove, a Maenza vedi il castello del barone. Nel paese mio niente, le chiese erano piccole e i loro tetti si perdevano nei tetti delle case intorno. Erano, sono, rigorose le chiese. Quella dei gesuiti in Piazza San Pietro non è più grande e non schiaccia il Comune. Un tempo i comunisti avevano lì vicino la sezione che era quasi sotterranea rispetto al piano della piazza, quasi a testimoniare percorsi segreti tra iniziati della rivoluzione e iniziati della fede. Sarà per questo che non comprendo le gerarchie, che non sono uso a pensare uguale, che mi fanno schifo i privilegi e non li riconosco non rivendicandoli.
Quando Pio IX venne dalle mie parti arrivò in pompa magna era Papa per grazia di Dio e Re per disgrazia del popolo e dell’Italia. Una signora del popolo, il popolo senza castelli e delle chiese piccole, lo guardò e nonostante la pompa lo vide per quel che era “Se è Papa quisto è Papa puro maritemo”. Che vuol dire “E’ umano, è umano”. Lui, il Papa, si pensava più che umano. Ovunque, ma non dalle parti mie dove era “come maritemo”.
Per questo quando il sacerdote, etnicamente compatibile con me, mi confessò, nell’unica volta che l’ho fatto per rispetto e meno per convinzione, lui mi disse: “Ma che pu esse fatto tu? Che malo pu esse fatto? Mo ogni tanto, ogni dua o tre anni va a ca santurio ca è beno”.
Avevamo 21 chiese, erano case accanto alle case. Dio era uno di noi, uno che se faceva freddo aveva freddo, se faceva caldo aveva caldo. Era uno di noi.
Per questo non sento le gerarchie, per questo la pensiamo ciascuno a modo suo mai allineati, mai come ti aspetti. Qui a Latina le case sono piatte, non ci sono castelli, la torre civica è minimalista il campanile pure. Il Vescovo di Latina, in carica, non ha capito questo problema “dimensionale” e si è fatto una casa grande grande, una casa dove il Dio umano in cui sono cresciuto non avrebbe trovato “spazio”, si sarebbe perduto cercando.
Ho, in questo tempo mio problemi di certezze, come se tutto fosse mutato con un prima e un dopo. E mi pongo domande che prima neanche immaginavo: perché nessuno, a Latina, si è indignato, offeso per le strisce blu? Per la loro invadenza? Perché questa città non ha ventuno chiese, non ha le case attaccate alle chiese, ha il Comune con una torre civica “nana” ma presuntuosa. Ha la sindrome del capo che pensa a tutto lui, Latina non ha avuto un signore ha avuto un padre malvagio, falsamente generoso, patetico, debole ma con la voce grossa quando veniva qua nessuno osava dire: “ma se questo è l’uomo della Provvidenza allora è Provvidenza anche mio marito”. Nessuno osava ridere del nanetto mascelluto ma tutti volevano toccarlo, averlo. L’unica città di sudditi senza signore, di monarchici senza Re, di repubblicani senza repubblica. Qui si vogliono bene e il capo è un papà buono, come in Sudamerica, un Sudamerica alle porte di Roma.
Ecco perché la penso diversa perché se da Latina guardi Sezze vedi le case non la chiesa, non il castello, non la torre del Comune, le case. Lì su non ci sono capi.
Il mio tempo è cambiato, un prima e un dopo per colpa di quelle 21 chiese, di quelle case attaccate alle chiese, per i campanili bassi e per la meraviglia che ti prende se da lì su guardi la bellezza di questo creato.















venerdì 20 novembre 2009

APRILIA - Abbott, ratificati i licenziamenti


Teresa Faticoni

È stato ratificato in Regione Lazio l’accordo per la mobilità in Abbott. Un passaggio formale, avendo le parti trovato un accordo già durante la trattativa territoriale. Accederanno agli ammortizzatori sociali 165 informatori scientifici del farmaco della linea primary care. Si tratta di lavoratori sparsi su tutto il territorio nazionale, con un impatto sul Lazio di tredici persone e ancora da quantificare per la provincia di Latina. Della vertenza però se ne sono occupati i sindacalisti di Latina perché tutti gli informatori sono sul libro paga dello stabilimento di Campoverde. L’accordo prevede che in mobilità andranno per primi coloro che vanno direttamente in pensione e quelli che negli anni previsti si agganciano alla pensione. Previsto un sostanzioso bonus. Per coloro cui manca solo un anno l’azienda pagherà un ulteriore anno per quelli del sud Italia e due per quelli del nord (che hanno diritto per legge solo a un massimo di tre anni di mobilità) con il 90% dello stipendio. In seconda battuta arrivano i volontari. È stato previsto anche un capitolo per chi eventualmente sarà trasferito da una sede all’altra in base al quale l’azienda si accolla tutte le spese per il trasferimento più una indennità per il disagio. «L’accordo in parte cerca di dare un paracadute a una situazione abbastanza critica – ha dichiarato Roberto Cecere segretario della Femca Cisl – anche se non dobbiamo dimenticare che si stanno licenziando 165 persone». In campo è stato messo anche il progetto Wellfarma per la ricollocazione dei licenziati in altre aziende dello stesso settore, che ha già dato ottimi risultati in altre situazioni. «Il comparto sta avendo una ristrutturazione che al momento non sembra vedere fine – ha aggiunto Cecere -. Al’orizzonte si affaccia la vertenza Pfizer ex Wyeth». «parliamo di licenziamenti – gli ha fatto eco Dario D’Arcangelis, segretario Filcem Cgil - pensiamo di aver raggiunto intesa dignitosa per i lavoratori riducendo l’impatto del numero degli esuberi dando anche riconoscimento ai lavoratori che vengono coinvolti dal processo». «È un accoro doloroso – ha concluso Luigi Cavallo segretario della Uilcem Uil -. Ma abbiamo cercato di costruire un accordo giusto dal punto di vista sociale, protettivo. Nella drammaticità è un accordo più che buono».  

Latina - Merisi, artista e genio bifronte

Luisa Guarino
Secondo spettacolo della rassegna di prosa 2009/2010 questa sera e domani al Teatro D’Annunzio di Latina dove, con le consuete rappresentazioni in programma rispettivamente oggi alle 21 e in replica pomeridiana domani alle 17.30, andrà in scena “Le ultime sette parole di Caravaggio” di Ruggero Cappuccio, con Claudio Di Palma e Lello Arena, regia di Ruggero Cappuccio. Prodotta dal Teatro Segreto, l’opera vedrà in scena ben sette attrici: Federica Bognetti, Stella Egitto, Ilenia Maccarone, Giusy Mellace, Alessandra Roca, Marina Sorrenti, Ida Totaro. Le scene sono di Nicola Rubertelli, i costumi di Salvatore Salzano, le musiche di Paolo Vivaldi, il progetto immagini di Ciro Pellegrini, gli elementi di scena di Alessandra Ricci, le luci di Franco Polichetti.
Per i non abbonati, il costo dei biglietti va dai 25 euro interi (ridotti 23) del I settore di platea, ai 16 euro (ridotti 14) dei palchi di galleria. Un’ora prima dell’inizio degli spettacoli saranno inoltre messi in vendita con la formula last minute i biglietti per la galleria al prezzo speciale di 10 euro.
Per ulteriori informazioni: 0773.652642-652637. L’acquisto dei biglietti è possibile anche online sul sito www.fondazioneteatrolt.com.
Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, di cui peraltro nel 2010 si celebrano i quattrocento anni della morte, è un artista bifronte: della spada e del pennello, delle luci e delle ombre, etero ed omosessuale, amico di cardinali e ladri, idolo di principi e assassini, che proclama l’impossibilità dell’esistenza di un mondo alto e poetico - si legge nella scheda di presentazione - senza la conoscenza, la mortificazione, e il naufragio in un mondo basso e corporeo. Il testo scritto da Ruggero Cappuccio coglie il genio (interpretato da Claudio Di Palma) nell’ultima ora della sua vita: accompagnato da un servo aiutante (Lello Arena), l’artista sbarca su una terra ignota, duramente provato dalla persecuzione dello Stato Pontificio, dalla sete di vendetta dell’Ordine di Malta e dall’abbandono di estimatori e protettori. In “Le ultime sette parole di Caravaggio”si accende il delirio del grande artista in un dialogo disperato con se stesso, braccato da sette donne soprannominate “femminote”, una falange zingaresca di donne siculo-calabresi, la cui furia rimanda alle Erinni.
Ricordiamo che in occasione di questo spettacolo è allestita nel foyer del D’Annunzio la mostra di Riccardo Attanasio “Post-stencilism” inaugurata ieri pomeriggio, che resterà aperta fino a domenica 29 novembre e potrà essere visitata negli orari di apertura del Palazzo della cultura, dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19. L’esposizione costituisce la seconda tappa della rassegna d’arte contemporanea “Cinque + Cinque” organizzata dalla Fondazione Palazzo della cultura di Latina in collaborazione con la Camera di commercio, curata da Aus+Galerie di Latina, Via Satrico 26. Riccardo Attanasio è nato a Napoli nel 1982: attualmente vive e opera a Londra. Dopo il 29 novembre, la sua mostra sarà allestita fino al 29 dicembre proprio nei locali della Aus+Galerie. 

giovedì 19 novembre 2009

La rimozione della fine



Lidano Grassucci

Raccontiamo oggi di un morto sul lavoro. Morire per vivere è una contraddizione in termini è una barbarie. Il lavoro è cambiato, chi ricorda “Rosso malpelo” il lavoro in cava, il lavoro dei bambini. Guardiamo con disgusto i piccoli che fanno i palloni in Pakistan, guardiamo con pietà i ragazzi davanti alle macchine da cucire nel sud est asiatico.
Noi eravamo così, a 12 o 14 anni i bimbi di queste lande diventavano uomini in palude. Lavoravano in palude.
Ora a 12/14 anni si è bambini, è normale considerare criminale un datore di lavoro che lo facesse.
Cosa è accaduto nel mezzo? Semplice il “lavoro si è riscattato”, è diventato dignità. Ma si muore ancora. Ecco, si muore ancora, di meno, sempre di meno ma ancora.
Come si muore, di meno, ma ancora sulle strade. Sentirò oggi commenti duri sulle morti del lavoro, sulle morti stradali. Ma sono cose destinate ad essere ripetute. Perché c’è un problema della società contemporanea, un problema che per la prima volta assilla l’umanità, la “rimozione della fine”. Come se fosse possibile non finire, come se questo mondo non fosse a termine. Rischiamo di essere mortali che si pensano dei dell’Olimpo.
Andrò fuori le righe, ma questa è vita vera: ci si fa male sul serio; si ride veramente; si soffre altrettanto ed ha un termine.
Ho capito che la fine era umana quando è scomparso mio nonno, per me era grande. Una sorta di Superman, non pensavo ci potesse essere il mondo senza lui. Quando è finita sono venuti i suoi amici, i parenti, i vicini e non piangevano. “Testimoniavano”  della sua vita, poi mangiavano come fosse una festa. Lì per lì non capivo: come non c’è più ed è una festa? Ho compreso tanto tempo dopo. Era un pezzo della vita, era un evento normale, non era una colpa, non era il segno del male, non era sfortuna. Era normale. Forse dovremmo ripensare a quella cultura che della vita accettava tutto, anche l’ultimo pezzo. Non siamo immortali e sentiamo il dolore, ma possiamo vivere felici, la sfida è tutta qui.


Ater, settanta anni di domani




Teresa Faticoni


Non mancava davvero nessuno a festeggiare i settanta anni di attività dell’Ater a Latina. nelal sala conferenze del Palacultura vecchi dipendenti in pensione che salutavano i nuovi, vecchi presidenti con la lacrimuccia quando l’attuale Claudio Lecce li saluta uno a uno, i dipendenti di oggi, qualche inquilino e le istituzioni. Al tavolo della presidenza, con la sorridente presentazione della giornalista Dina Tomezzoli, tutto il cda al completo con il presidente Lecce, il vice Enrico Forte e il direttore Paolo Ciampi. In sala il prefetto Frattasi, il colonnello dell’aeronautica Magazzino, i consiglieri regionali Di Resta e Moscardelli, l’assessore del Comune di Latina Maurizio Guercio, il consigliere provinciale Enzo Eramo con il sindaco di Sezze Andrea Campoli. E tanta, tanta gente normale. Che viene a celebrare l’ente delle case popolari. A lato della sala, con un sorriso timido, Dario Bellini, l’autore del dvd che segna l’evento. Un regista delicato, per un dvd commovente punteggiato da musiche popolari che puntano dritto alle emozioni. Il volume realizzato per l’occasione è un tributo all’architetura, alla storia dell’Ater, ma soprattutto ai veri protagonisti: gli inquilini. Con le loro vite che si scrivono nelle pieghe dei volti impressi nelle fotografie di Paolo Mastrantoni. è una festa, ma anche un modo per riflettere sulla propria storia e rilanciare verso il futuro. In canna ci sono tanti colpi pronti per essere sparati verso il domani. Case popolari in tanti comuni della provincia, alloggi per categorie disagiate a Pantanaccio a Latina e un centro di accoglienza a Latina Scalo. Il futuro è già oggi in via Curtatone

«Oggi non spazzo», netturbini in sciopero

 Raffaele Vallefuoco

18 novembre 2009

Ha registrato un'adesione plebiscitaria lo sciopero dei netturbini
convocato  ieri per ventiquattro ore dai sindacati di categoria. Una
mobilitazione contro la privatizzazione del settore dei rifiuti
inserita nel decreto Ronchi che ha mandato in bestia gli operatori
dello Stivale. Non hanno voluto far mancare il loro appoggio gli
addetti all'igiene del Golfo. Da Gaeta a Minturno, passando per
Formia, le percentuali di adesione sono da capogiro: quasi il 90% per
Gaeta e addirittura il 100% per gli oltre cento netturbini formiani.
In particolare gli operatori  lamentano le conseguenze che questa
liberalizzazione del settore comporterebbe. Spiega Giulio Moggia della
Cgil - Funzione Pubblica: «Così facendo si determina la possibilità
che qualsiasi acquirente privato possa subentrare nella gestione dei
rifiuti portandosi con sè i propri dipendenti e lasciando a casa chi
c'era  già prima. Una scelta devastante, soprattutto per i lavoratori
più anziani, che nel caso di ''cacciata'' avrebbero seri problemi di
reinserimento nel mondo del lavoro. Ci auguriamo - auspica Moggia, di
ritorno dalla manifestazione capitolina - che il governo riveda le sue
posizioni, anche alla luce dell'importante partecipazione registrata a
Roma». La dorsale della protesta attraverso tutta l'Italia. Rinunciare
a 42 euro lordi in busta paga per dare un segnale  al governo non è
uno scherzo, soprattutto «se a fine mese ti ritrovi con appena 1070
euro» commenta infastidito un netturbino di Formia. «La nostra è
un'adesione convinta»  commenta Giovanni Reca operatore Rsu servizio
igiene Comune di Formia. La mobilitazione, infatti, è stata reale. I
netturbini del Golfo hanno lasciate le ramazze in azienda per essere a
Roma, il centro della protesta, dove si è recata una delegazione di
Formia e di Gaeta, al seguito dei sindacati, veri portavoce del
malessere che serpeggia tra i lavoratori.

mercoledì 18 novembre 2009

La scuola senza memoria


 Lidano Grassucci


Leggo di un istituto veneto, un istituto tecnico, che vanta tra i suoi allievi Fagin, il padre del microchip (Uno che vive nella Silicon Valley ed ha cambito il mondo) è il vanto della sua scuola. Come dire; lo usano per far vanto di quel che quella scuola sa fare.
Ora, cosa sanno fare le scuole di Latina? Non lo dicono, non raccontano mai dei loro ex allievi. E’ come se la Lamborghini si vergognasse un po’ della Miura, l’Alfa Romeo della “duetto”, la Volskwagen del “maggiolone”.
Sono, quelle di Latina, scuole anonime. Senza nomi e cognomi, senza facce.
Beppe Severgnini da Crema un volta si offese con la sua scuola che non lo aveva, dopo il diploma, mai contattato in ragione del fatto che le scuole del Regno Unito erano perfino più assillanti che gli ex allievi. Chiedevano testimonianze, contributi, organizzavano eventi.
Se in Italia questo è un problema, a Latina è un dramma.
Il sentire comune di una città nasce dalla capacità di avere una nervatura sociale, un insieme di occasioni che fanno la memoria della comunità.
Mi sono innamorato di Sassari, la città di Segni, Berlinguer, Cossiga (due presidenti della Repubblica Italiana e il capo del piu’ grande partito comunista d’Europa). Loro, i sassarini, hanno il culto delle loro scuole, fanno il militare nella brigata che porta il nome della città (dalla guerra 15/18). Sono orgogliosi della loro terra e il loro onore per l’Italia gli ha dato il privilegio unico di poter sfilare, ovunque, cantando in sassarino. Forse l’avete sentito quel “Forza paris” (che significa “tutti insieme”). Sassari è piu’ piccola di Latina, conta 7 ministri, la sua classe dirigente è la classe dirigente italiana. Perché? Anche perché c’è la nervatura, perché ti senti di un reparto militare, di una scuola. Noi “dove” ci sentiamo?
Se fossi il preside del Liceo Scientifico Grassi mi vanterei di aver avuto come allievo Luciano Garofano, quello che ha “inventato” l’investigazione scientifica dei carabinieri (oggi è colpito da una infamia, ma resta uno che ha cambiato il modo di far polizia in Italia), farei lo stesso se fossi preside del classico scriverei sulla porta “qui ha studiato Barbara Ensoli”. Invece le porte di quelle scuole sono mute.
Durante un amabile colloquio abbiamo scambiato alcune battute con il comandante dei carabinieri, colonnello Roberto Baccaccio, è del ’61 come me ed ha studiato, quando lo diceva non nascondeva il suo orgoglio, alla Nunziatella il liceo militare di Napoli. L’ho invidiato, anche io vorrei essere orgoglioso della mia scuola. Che significa essere orgoglioso dei miei insegnanti, della mia città, della mia comunità.
E’ una sciocchezza?
Raccontiamolo ai nostri compatrioti di Sassari.
Raccontiamo a quelli di Sassari che usare la lingua locale significa essere “meno italiani”, “meno del mondo”: “Siamo eredi di quella antica gente che fermava il cuore al nemico. Boh, boh. Oggi sono nostre le loro insegne, per l’onore dell’Italia e della Sardegna”. Lo dicono in sardo.
Noi ci vergogniamo della nostra lingua, non abbiamo mai avuto un ministro. Fate voi.

martedì 17 novembre 2009

Bellezza e stupore della politica



Lidano Grassucci

Ho compreso cosa manca alla politica di oggi, lo stupore. La capacità, della politica, di vedere la bellezza che, nella polis (nella città), è fantasia di futuro, riconoscimento dei talenti del presente. La bellezza è avere una idea di domani migliore, si può morire per Elena di Troia, si può rompere un impero per Cleopatra. Si può fare lo stesso in nome di Gasparri, di La Russa, di Di Pietro? Non leggo favole da tempo perché sono cose dei bambini, ma non è una favola l’idea che domani vivremo in una città migliore con teatri, piste ciclabili (per chi ama la bici) e strade veloci (per chi come me si è innamorato di un’Alfa Romeo).  Stupore, passione la politica era così, si è presentata nella mia vita senza invito, sinuosa ed elegante come certe dame reduci dalle corti dello Zar in questa mia piccola Parigi vista dalla Grande Madre Russia.
Ora? Paperini che pensano che la politica sia scimmiottare i grandi, sia una imitazione. L’opposizione a Latina si è baloccata con magliette pro-Prefetto (che è una istituzione non una squadra di calcio che ha bisogno di tifosi in tinta, non si tifa per lo Stato, siamo lo Stato) e non si è accorta dell’invasione di strisce blu, non si è accorta che, se loro erano ignavi, c’era chi li batteva: la maggioranza. Alla vigilia del voto per le regionali, durante le compere di Natale, introducono la sosta a pagamento. Come se il portiere del Milan rimettesse la palla a Del Piero mentre esce dal campo per farsi mezza birra e una gassosa. E Del Piero che fa? Mette al lato per simpatia con l’arbitro.
Dite: cosa ha a che fare la bellezza con questa cosa delle strisce? Semplice se la maggioranza avesse avuto passione e stupore per la sua bellezza avrebbe evitato di mettere un tassa nascosta sulle auto, perché la “sua bellezza” è Stato piccolo con piccole tasse. E la sinistra? E’ “passione”, se si fosse innamorata di quella cosa per cui vale la pena stare a Sinistra: “stare con gli ultimi”, che nel caso sono gli automobilisti, i residenti, le commesse.
Invece? A Rai 3 fa il monologo Saviano sull’antimafia, e diventiamo tutti Savianini. A me non piace l’originale, immaginate l’imitazione De Marchis, o Visari?
Non c’è bellezza, non c’è stupore e la politica è triste, che stupore può dare un discorso di Ghedini?
Ho ascoltato Pertini, ricordo gli eleganti paradossi di Moro, il rigore liberale di Malagodi.
La politica senza bellezza e stupore è come la vita senza bellezza e stupore, è inutile.

ATER, settanta anni guardando al futuro

Teresa Faticoni
Il libro è profumato, come profumano di buono i libri “che restano”. In allegato un dvd «commovente» realizzato dal regista di Latina Dario Bellini. L’Ater festeggia i 70 anni di case popolari a Latina e lo fa con una pubblicazione «non retorica», dice il presidente dell’ente di via Curtatone Claudio Lecce. «L’intento è stato quello di non fermarci solo alla celebrazione - gli fa eco Enrico Forte, vicepresidente e anima di questo anniversario - ma di raccontare le storie degli inquilini, i veri protagonisti sono le persone con i loro problemi, a volte drammatici». Un modo anche per ricostruire la storia sociale di questa provincia. Nel volume, curato dal giornalista e fotografo Paolo Mastrantoni, si legge la vita delle persone sulla loro faccia e nei racconti raccolti dal sociologo (e dipendente Ater) Marco Carfagna. Ci sono famiglie con i bambini, ci sono le donne anziane che negli alloggi Ater ci hanno cresciuto generazioni intere, ci sono le belle ragazze della casa dello studente. «L’Ater è un ente amministrativo e burocratico - ha spiegato Forte - ma si occupa anche di dare risposte al disagio sociale diffuso». E quello che è e cosa fa l’Azienda territoriale di edilizia residenziale lo spiega bene Lecce. «Siamo il braccio armato della Regione per il problema casa - dice scherzando il presidente - dal momento del nostro insediamento (con lui anche due consiglieri di amministrazione) ci siamo dati come prioprità la riqualificazione del patrimonio». C’è in campo anche una riqualificazione programmata, per prevenire con la manutenzione piutosto che curare le emergenze. Il programma di interventi per il futuro prevede 9 milioni di investimenti per realizzare alloggi ad Aprilia, un centro di accoglienza a Latina Scalo, una casa per le categorie speciali a Pantanaccio e costruzioni a Itri, Pontinia, Cori e Roccagorga. «Ci candidiamo a diventare un’agenzia di affitti - conclude Lecce - per dare mobilità a un mercato immobile e fornire le giuste risposte a stuenti, anziani, coppie giovani». Il volume comprende anche una corposa cronologia delle attività  dell’ente curata da Lucilla Less mentre la parte architettonica è stata curata da Simone Capra. Un team giovane «e appassionato», dice Forte. E quello che emerge è proprio la gioia di aver condiviso i 70 anni di attività dell’ente pensando al futuro. Il saggio finale, scritto dal direttore dell’Ater Paolo Ciampi, è proprio uno sguardo al domani. La presentazione ufficiale si tiene domani alle 17 presso la sala conferenze del Palazzo della cultura a Latina. Interverranno Lecce e Forte e Ciampi, Bruno Astorre, presidente del Consiglio regionale del Lazio, Mario Di Carlo, assessore regionale alle politiche della casa. “Fare tesoro della propria storia” è lo slogan. Ma è proprio guardando al futuro che domani si festeggerà.

lunedì 16 novembre 2009

Latina, già Littoria, domani città fantasma

Andrea Passamonti
Una volta c’era l’Agorà, la piazza in cui i greci amavano incontrarsi, parlare, discutere, vivere la propria polis nel suo centro storico culturale. Negli ultimi anni l’idea di Agorà ha ceduto il posto a progetti di trasformazione dei centri storici in «centri commerciali naturali». Due prospettive, quella greca e quella nostrana, che nonostante si basino su modelli opposti hanno un unico comune denominatore: rendere vivo, nel senso più vero della parola, il centro della città.
A partire da dicembre, con il nuovo piano della sosta, il centro storico di Latina inizierà il proprio decadimento fino a trasformarsi in quello delle più classiche città fantasma del Far West.
Non intendo soffermarmi sulla improduttività di una misura del genere in un periodo di crisi. Hanno avuto modo di parlarne già in molti, criticando senza vie di scampo una delibera comunale che, con commercianti e clienti già sotto il peso della crisi, decide di aumentare quella che è a tutti gli effetti una tassa sul consumo. Soprattutto se la delibera non è accompagnata da trasporti pubblici frequenti ed efficienti, come invece accade in tutte le città con zone a traffico limitato.
Credo sia più interessante soffermarsi sugli aspetti sociologici del problema.
Il centro di una città è il luogo di incontro per eccellenza. Quando i cittadini decidono di riunirsi è naturale che lo facciano nelle piazze caratteristiche della loro città, che diventano il principale strumento che ha l’amministrazione comunale per l’interazione sociale tra i propri cittadini. Riqualificare piazze e favorire la socializzazione diventa un dovere per chi aspira a governare una comunità.
Al contrario, la misura decisa dal Comune ha  come unica e indiscutibile conseguenza quella di disincentivare l’appartenenza alla città e favorire rapporti con raggio massimo a livello di quartiere, se non addirittura di condominio. E per chi si sciacqua spesso la bocca con l’esaltazione della Littoria che fu, questa è una contraddizione inaccettabile.
Ma non è tutto.
La misura avrà effetti esponenziali se, come pare, il pagamento della sosta verrà esteso anche alla domenica, il giorno in cui i cittadini affollano il centro città.
Rispondendo alle accuse l’amministrazione ha provato a giustificare il provvedimento con l’esigenza di evitare parcheggi lunghi e favorire «soste dinamiche». In particolare per «restituire il centro storico ai residenti, alle famiglie ai commercianti e non renderlo schiavo di chi lavora negli uffici e dei non residenti» come l’assessore Patrizia Fanti ha affermato, non notando incongruenze ovvie nel suo ragionamento: che il centro è in realtà di tutti i cittadini (come ogni area pubblica), che è uno dei quartieri meno popolati e che i commercianti, senza il consumo dei non residenti, probabilmente durerebbero al più qualche mese.
Senza dimenticare che subiranno le conseguenze di questo atto di inciviltà anche (e forse soprattutto) gli utenti dei servizi pubblici del centro storico. Un esempio per tutti è quello degli studenti che frequentano quotidianamente la biblioteca comunale. Senza nessun tipo di agevolazione (ma anche se ci fosse sarebbe comunque un notevole costo in più) dovranno scegliere tra lo sborsare cinquecento euro l’anno, avventurarsi in un servizio di trasporto pubblico certamente non in grado di sopperire a un problema così importante o rimanere a casa, tra computer e programmi televisivi.
Insomma, c’è da augurarsi che in una prospettiva da Far West i cittadini si ribellino a questa ingiustizia come gli indiani si ribellarono ai cowboy, sperando che la storia ci regali un esito più felice.

Giustizia, caso nazionale

Elena Ganelli
Il caso Latina alla ribalta delle cronache nazionali. Domani sera su La 7, all’interno del programma di approfondimento “Exit” condotto da Ilaria D’Amico, riflettori puntati sull’emergenza giustizia nel capoluogo pontino con immagini ed un’intervista realizzata ieri mattina al rappresentante pontino dell’associazione magistrati Lucia Aielli. Una finestra aperta  sulle carenze del Tribunale dal punto di vista dell’organico, sia degli amministrativi che dei magistrati, che appaiono ancora più gravi alla luce dell’ipotesi di introdurre il processo breve. Che qui a Latina potrebbe significare la prescrizione per migliaia di processi.
Insomma non è davvero quella la strada per accelerare i tempi della giustizia nè tanto meno è dignitoso dover ricorrere ad una sorta di colletta tra categorie professionali, associazioni imprenditoriali, sindacati e enti locali per informatizzare il Palazzo di giustizia come sta facendo l’Ordine degli avvocati, giunto all’ultimo stadio della  disperazione. Ne è convinto il presidente della sezione pontina dell’Anm, Lucia Aielli, intervistata ieri mattina dai giornalisti de La 7 sulla situazione della giustizia in questo circondario.
I problemi sono quelli di qualche anno fa, aggravati dell’accresciuto numero di procedimenti e dal diminuito organico.
Mentre l’ufficio gip sta per passare dagli attuali cinque magistrati a tre, visto che Giuseppe Cario sta per andare a Roma e la stessa Aielli, essendo trascorsi dieci anni deve passare ai giudicanti, si sta preparando a lasciare piazza Buozzi anche Cinzia Parasporo. La sezione staccata di Terracina rischia la chiusura con il trasfermento dei due giudici che sono lì distaccati  (Pernelli e Cialoni) e l’andata in pensione dei tre dipendenti mentre ieri a Proverno l’ufrficio de3l giudice di pace è andato in tilt per mancanza del giudice stesso, in pnsione da una settimana e non ancora reintegrato. «La situazione è drammatica - sottolinea la Aielli - e non ci sono in atto provvedimenti per tamponare l’emergenza. Certo che su Latina ci sono i riflettori puntati anche per il caso Fondi ma tutte le ipotesi di riforma - prosegue - per  abbreviare i tempi del processo sono impraticabili senza personale e fondi. E non ci vengano a parlare di magistrati fannulloni: qui ci portiamo anche a casa il lavoro e se si vogliono celebrare i processi di pomeriggio bisogna pagare lo straordinario a coloro che seguono le udienze». Lavorare qui insomma significa avere un carico di lavoro moltiplicato rispetto ad altri Tribunali. E andare via appena possibile.

SABAUDIA - LUCCI CHIEDE CHIAREZZA SUL LAGO «O MI DIMETTO»

Antonio Picano
Agenzia del Demanio, Provincia di Latina e Capitaneria di Porto di Anzio: tutti qui gli enti presenti alla Conferenza dei Servizi convocata dal Comune di Sabaudia in merito alla disciplina delle attività esercitabili sulle acque del lago di Paola. Assenti il grosso e la parte più importante degli interlocutori: Ministeri Ambiente, Politiche Agricole, Beni Culturali, Sovrintendenza Paesaggistica, Direzione regionale Ambiente e Cooperazione dei Popoli, Coordinamento Territoriale del Corpo Forestale dello Stato e, naturalmente, Comunità ed Ente Parco Nazionale del Circeo. Un flop tutto sommato annunciato dalle lettere di diniego alla partecipazione fatte pervenire nei giorni immediatamente precedenti dalle istituzioni invitate, motivato per la quasi totalità da inesattezze procedurali o da mancata acquisizione di elementi utili all’emissione dei pareri di competenza. Semideserta quindi alle 11 di ieri l’aula consiliare. Una situazione ai limiti del surreale che ha dato al sindaco Maurizio Lucci lo spunto per una vera e propria filippica contro «la scarsa sensibilità degli enti chiamati in causa verso un problema che attualmente sta assorbendo tutte le energie dell’amministrazione, a discapito di altri ugualmente avvertiti dalla cittadinanza». «Non l’abbiamo certo voluta noi questa conferenza, scaturita da un ordinanza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche». Ben altrimenti si era comportata la sua Amministrazione quando nell’estate scorsa, durante uno dei tavoli tecnici in Prefettura, Bruno Frattasi aveva  conferito al Parco del Circeo l’onere di redigere uno stralcio sulla navigabilità al regolamento del Parco. «Quel giorno non feci una piega e sottoscrissi ben volentieri un accordo, destinato quanto meno a dare le prime certezze sul futuro dell’area. Oggi che tale incarico è passato al Comune per volontà di un’alta autorità giudiziaria assistiamo, invece, a defezioni che non depongono certo a favore del sano e costruttivo confronto tra i soggetti direttamente interessati che dalla riunione tutti si attendevano». Poi, rompendo gli argini: «Vogliamo sapere se il lago di Paola è di Sabaudia e dei sabaudiani, se la gestione compete al Comune o ad altra istituzione». «Sono stufo – dice letteralmente - di investire energie amministrative senza ritorno, di tenere ingessata una città per una questione che ancora non si sa se è di natura pubblica o privata». Dopo aver ribadito che nel suo programma di governo non c’è nemmeno l’accenno alla realizzazione di un porto nel canale romano, Lucci ne ha anche per «chi va in televisione a parlare di progetti portuali che non esistono e di presunte infiltrazioni malavitose nel tessuto territoriale». Chiusura con deflagrazione finale: «Se non si fa chiarezza su questi aspetti legati al lago, sono pronto a dimettermi». La conferenza dei servizi sarà nuovamente riconvocata tra una decina. Mentre l’udienza istruttoria presso il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rimane fissata per il prossimo 9 dicembre. Il tempo stringe.

domenica 15 novembre 2009

GIRO GIRO TONDO …


 Fabrizio Bellini


Mercoledì 11 novembre Linda Lanzillotta ha lasciato il Partito democratico e ha aderito all’iniziativa di Francesco Rutelli. Folgorata sulla via di Damasco pure lei. Alessandro Trocino (Corriere della sera), le chiede: “perché se ne va?” - “perché è fallito un progetto… il Pd non è riuscito a fondere le culture tradizionali con quelle innovative”. Accipicchia, mica poco! Un giorno ci spiegherà che cosa sono le “culture innovative”, ma intanto, mentre ci pensa, Trocino la incalza: “dove è cominciata la crisi?” - “quando Veltroni ha gettato la spugna, Bersani è stato il punto d’approdo della crisi, che credo irreversibile”.  Tutto chiaro: Veltroni molla, il progetto politico muore, la speranza anche e gli amici se ne vanno. Logico, no? Ma per Lanzillotta, Rutelli & co. c’è una buona notizia, anzi, ottima: Veltroni è tornato. Niente Africa, niente Aventino, si riraccoglie la spugna e … la guerra continua. Tanto più che si spera che D’Alema si levi definitivamente dai piedi. Bersani avvisato, mezzo salvato. “Veltroni due, il ritorno”, chiude la bella intervista che ha rilasciato Domenica ad Aldo Cazzullo, con queste parole: “…credo di aver destato una speranza che non è ancora spenta. L’Italia oggi è un paese triste. Ma è anche un paese straordinario, pieno di talento e di energie. Un paese che potrebbe sbocciare.”  Eh dai, forza ragazzi, si ricomincia, avanti con “paese” e “ma anche”. C’è trippa per gatti e che trippa.  Sì, ma adesso Lanzillotta - Rutelli & co. che fanno? Ci ripensano e tornano a “casa”? Ma no, state tranquilli, vedrete, la ricerca di “culture innovative” li terrà in giro ancora per un bel pezzo. Almeno fino a un approdo sicuro, poi, scarpette da ginnastica ai piedi, si vedrà. Con buona pace di tutti. Non saranno soli perché c’è un altro che si è messo le Nike ai piedi, Giorgio La Malfa. Erano rimasti in due, lui e Francesco Nucara. I resti residuali di quello che fu il glorioso partito di Ugo La Malfa, il Partito repubblicano italiano. Ripeto, erano rimasti in due, dico due, due in tutto, dispersi nel mare magnum del Pdl e sono stati capaci di divedersi, di scindersi, di spaccare il partito a metà. Nucara, segretario, è rimasto col Cavaliere, La Malfa si è messo a correre e lo danno al galoppo verso Rutelli. Sulla via di Damasco comincia a esserci troppa gente e, forse, Guercio dovrebbe metterci una rotonda. Al povero Nucara non resta che ripetere quello che piagnucolava Gassman nei “I soliti ignoti”: “Mi hanno rimasto solo”. Solo solo, poverino, ma a chi lo dirà visto che “l’hanno rimasto” con un’edera davanti e niente di dietro? Francamente io il Partito repubblicano italiano non l’ho mai capito, troppo raffinato per me, ma mi dispiace che sia finito così. Tanto per cominciare la fonesi dell’acronimo, pri, non ha mai promesso niente di raffinato e poi vi ricordate Giorgio Forattini che racchiuse in una irriverente nuvoletta un “pri” prolungato che usciva dal sederone nudo del repubblicano Giovanni Spadolini quando cadde il suo primo governo? Quello diventò il simbolo della fine dell’egemonia politica della Dc, un peto disperso nell’aria. Lo statuto della repubblica del conflitto perenne. Era il 1981 e ancora, quasi trent’anni dopo, l’aria si riempie di simili nauseanti effluvi emessi però da meno nobili posteriori in eterno collasso tra digestioni nevrotiche e suggestioni leaderistiche. Vorrei chiudere con due notine, spero, amene. La prima: chiude la Bolognina e al suo posto ci sarà un centro estetico. Spero che non sia quello che nel ’94 curò la cotonatura dei capelli di Occhetto per il primo scontro Tv con Berlusconi. Fu un disastro. La seconda riguarda il Cavaliere. Ora dorme a palazzo Chigi per motivi di sicurezza. Ha dichiarato: “qualcuno vuole farmi saltare in aria”. Cavaliere, come “qualcuno”? Un sacco di gente! Non sia modesto.

sabato 14 novembre 2009

Politica, morale e storia



Lidano Grassucci


Leggo un articolo di Nerio Nesi. Direte chi è? E’ stato il “capo” della Banca nazionale del lavoro, socialista lombardiano, lo chiamavano il banchiere rosso. Ricorda, nell’articolo di una rivista torinese, la figura di Riccardo Lombardi. Già Lombardi, venne al congresso dei giovani socialisti che si teneva a Siena. Ero un giovane delegato fresco di innamoramenti e di studi marxisti alla fine degli anni ’70. Entro nel palazzetto delle sport, eravamo in 5.000, era un figura elegante, rigorosa. Scese il silenzio in sala. Eravamo i giovani di uno dei più vecchi partiti d’Europa, quello con più storia anche in Italia. Iniziò a parlare: cinquemila ragazzi in silenzio non li ho più incontrati, non volava una mosca e lui inizio a parlare: “oggi siamo alla vigilia di grandi cambiamenti, gli uomini grazie alle macchine si stanno liberando dalla fatica. Avranno tempo per la politica, per conoscere il mondo, per la felicità”. E, noi socialisti: “dobbiamo cambiare la casa in cui viviamo senza farla crollare, mattone dopo mattone fino a quando non sarà la casa nuova”. Parlava di futuro, ci spiegava come sarebbe stato domani. Il nostro domani. Era la prima volta che mi confrontavo con il “rigore repubblicano” azionista, con l’etica civile laica che quella gente aveva coltivato in un paese di chiese e di baroni. Mi schierai con lui al congresso, scelsi Riccardo Lombardi come mia idea del mondo di domani. In cameretta conservavo una sua foto con riportata una sua frase: “è socialista quella società che concede a ciascuno le medesime opportunità”.
Avevamo allora una rivista “Giovane Sinistra”, pubblicò una intervista a Willy Brandt, capo del più grande partito socialista del mondo, Spd tedesca. Lui è stato sindaco di Berlino quando dall’altra parte c’era l’orrore comunista. Parlava del compito dei socialisti: “noi socialisti abbiamo il compito della distribuzione equa della ricchezza, ma oggi la diseguaglianza non sta più dentro le nostre nazioni, ma tra le nazioni. Tra il sud e il nord del mondo”. Il futuro? “La sfida è rompere questa diseguaglianza”.
Parlava di futuro. Noi ci innamorammo di questo futuro, per questo futuro libero dal lavoro e libero dal bisogni per gli ultimi del mondo valeva la pena di impegnarsi, di sacrificarsi, di fare politica.
Molti anni dopo intervistai, c’era stato il golpe giudiziario del ’93, il nuovo sindaco di Latina Ajmone Finestra. Gli chiesi: “lei come immagina Latina nel 2020?”. Lui mi rispose che “bisognava ripartire dalla città di fondazione, bisognava ripartire da Littoria”.
Quel passato mi faceva orrore, ma ancor di più era orribile questa idea della politica. Avete mai sognato al passato? Avete avuto mai speranze all’indietro? Capii allora che la politica come sogno di domani era finita, e con questo l’idea stessa dell’agire politico. Traduco ci si può “innamorare” del Lodo Alfano? Possono stare 5.000 ragazzi in silenzio davanti all’eloquio di Ghedini? Che idea ha di domani, che Italia, che Europa nel 2020 ha in testa Antonio Di Pietro? Con che faccia dici, io sono di Rutelli? Mi dite quale ragazzo può trovare affascinante l’agire levantino, gelido, cattivo di Massimo D’Alema?
Faccio il giornalista a Latina, la domanda “come immagina Latina nel 2020” non l’ho sentita più fare. La politica è uno stillicidio sull’idea di chi è più a meno onesto. Ma l’onesta è una categoria della morale, non della politica. Su chi è mafioso e chi no, ma la mafia è una categoria del codice penale non della politica.
La politica è l’arte di governare la città, nulla le è sopra. E le città si immaginano non per perpetrare il presente, non per rivendicare il passato, ma per costruire il futuro.
Per questo non capisco la politica dei giorni correnti, non comprendo il nostalgismo-moralistico corrente, l’accanimento per restare nel presente.
La passione politica è speranza, non è immaginare. Enrico Berlinguer, che viene da una tradizione politica lontana dalla mia e del moralismo dilagante è uno dei, suo malgrado, responsabili: “La fantasia non è solo propria dei bambini, ma anche dei rivoluzionari, perché senza non si può immaginare il mondo di domani”.
Per questo non mi affascino, non mi riguardano: le diatribe tra mafi e antimafi (roba utile per i Carabinieri); le nostalgie del passato (roba per storici). Vorrei ascoltare un signore che dal rigore repubblicano immagina il mondo di domani.

Strisce blu e la fucilazione per chi va in centro

Lidano Grassucci
Un delirio di blu, ovunque fastidioso, invadente. E… inutile. Le strisce blu, la sosta a pagamento, non serve per far far cassa ai comuni. Serve per rendere facile lo scambio nei punti sosta e facilitare la mobilità. Ora mi spiegare la ragione di strisce blu intorno ai giardini pubblici di Latina? Non ci sono negozi, non ci sono uffici, niente. Non c’è ragione di velocizzare il ricambio nei singoli punti sosta, è un provvedimento per fare cassa, per rendere difficile (o piu’ difficile) la vita ai cittadini. Gli automobilisti, ricordo agli amministratori di Latina, pagano l’Iva per acquistare l’automobile, per ogni intervento di manutenzione. Pagano la tassa di circolazione, pagano su un litro di benzina o gasolio quasi un euro di tasse e accise varie, pagare anche per star fermi e offensivo, ingiusto. Non nobile.
Ho ritenuto che le strisce blu in alcune aree del centro storico rispondessero ad una logica razionale, al bisogno di rendere vivibile la città, con la creazione di aree sosta di scambio, ora è volere i soldi dai cittadini per nulla.
Avrei compreso anche un aumento dei punti sosta a pagamento con l’arrivo delle metro leggera, il Comune “voleva scoraggiare” l’uso dell’auto privata. Ma la metro non c’è, l’auto è lpunico mezzo per muoversi e ci rendono difficile la sosta?
Potrei segnalare chi lavora negli uffici, i residenti, ricordo che i clienti dei centri commerciali non pagano la sosta. A Natale, sono facile profeta, al centro storico a fare acquisti ci andranno in pochi.
A Sabaudia hanno fatto pagare la sosta sul lungomare, Sabaudia è un deserto turistico. Sta, turisticamente, morendo.
Il Comune di Latina con l’inflazione delle strisce blu rende la vita impossibile ai cittadini e uccide il commercio in centro. Sono brutale? Cosa vuoi dire davanti ad un provvedimento palesemente fuori contesto, inutile. Il Comune penderà qualche spiccio in piu’, i cittadini useranno la città molto di meno. Ma nelle altre città hanno problemi di spazio, città medievali, rinascimentali nate con i cavalli riutilizzate per le automobili. Latina è un’altra cosa, strade dritte larghe, pensate nel mito dell’auto.
Stanno uccidendo Latina, la sua anima, in silenzio. La città già è vuota ora, dal primo dicembre sarà desolante. Fortuna che volevano valorizzare il centro storico, se lo volevano penalizzare che facevano istituivano la pena di morte per gli avventori in centro?
I centri commerciali ringraziano.
A Natale? Tutti a Valmontone
  

prima pagina


LATINA - Strisce blu... morte

Andrea Apruzzese
Provincia contro Comune per le “strisce blu”, che l’amministrazione di piazza del Popolo ha disegnato in tutto il centro storico, anche intorno ai palazzi dell’ente di via Costa. È l’assessore provinciale all’Ambiente, Gerardo Stefanelli, a “dissotterrare l’ascia di guerra”, sottolineando come «la nuova mappa dei parcheggi comunali prevede la sosta a pagamento intorno alle sedi istituzionali distaccate della Provincia di Latina, là dove prima era gratuita: strisce blu al posto delle strisce bianche». Stefanelli lancia quindi un appello al sindaco, Vincenzo Zaccheo: «Vorrei raccomandargli di prevedere forme di abbonamento che agevolino la sosta dei dipendenti non residenti nel capoluogo, alla stregua di quanto avviene a Formia, Minturno e Gaeta, dove i dipendenti comunali che provengono da altre città, hanno le stesse agevolazioni dei residenti. Se ciò non fosse, i dipendenti della Provincia, così come quelli di altri Enti, ad esempio la Camera di Commercio, sarebbero costretti a sostenere il costo giornaliero dei parcheggi a pagamento che andrebbe a gravare sul loro già magro stipendio». Avviata da tempo, la rivoluzione dei parcheggi nasce dal nuovo piano sosta del Comune capoluogo, approvato in commissione Viabilità il 15 luglio 2008, ed in Consiglio il 16 ottobre scorso, i cui effetti entreranno in vigore tra due settimane, il 1 dicembre. La sosta oraria passerà da 0,60 a 0,70 euro; i residenti del centro storico avranno la sosta gratuita per la prima auto, mentre, a partire dalla seconda, saranno disponibili diverse tipologie di abbonamento, da quelli mensili (10 euro) a quelli annuali (100 euro). Riduzioni per gli abbonamenti ordinari, che passano rispettivamente da 750 euro a 500 euro per quello annuale e da 70 a 50 euro per quello mensile. Diverse agevolazioni, concordate con le associazioni di categoria, andranno infine incontro a chi lavora in centro, sia in maniera stabile (ad esempio, i commercianti), sia in maniera occasionale (come un’impresa che debba ristrutturare uno stabile). Tariffe che stanno però suscitando polemiche tra i cittadini, in particolare per l’ampliamento delle zone di sosta a pagamento.

venerdì 13 novembre 2009

giovedì 12 novembre 2009

Pontini maestri di agricoltura

Teresa Faticoni
Sulla bella giornata di premiazione dei “Maestri dell’agricoltura” ha regnato l’emozione che hanno portato i ragazzi della fattoria soldiale del Circeo. E la commozione di Giovanni Giacomo Ruggiero, accompagnato dal nipotino, che si è sciolto in lacrime quando gli hanno consegnato la cornucopia. Ieri all’Acquario di Roma l'assessorato all'agricoltura della Regione Lazio, guidato da Daniela Valentini, ha reso merito a 66 imprenditori che si sono distinti in intraprendenza, qualità, originalità e impegno nella propria attività. Tra questi anche dieci aziende della provincia di Latina. La cornucopia di legno realizzata per l'occasione dall'artista artigiano Ferdinando Codognotto è stata consgenata dall’atore Giorgio Tirabassi, mattatore dell’emozionante cerimonia. Un modo per mettere in luce le eccellenze, e quelle pontine hanno brillato. Marco Di Stefano, che gestisce la Fattoria soldiale del Circeo, era con alcuni dei ragazzi della sua azienda. «Abbiamo dimostrato - ci ha detto molto contento del successo ottenuto - che delle persone disabili, senza ipocrisia, lavorano, vengonop pagate per questo e anche premiate perchè lo fanno bene». «C’è stata una bella partecipazione - ha aggiunto Anita Riggiero, dell’azienda che porta il nome di suo padre - abbiamo visto un altro modo di fare agricoltura». «Anche se un po' in ritardo – ha commentato l'assessore regionale all'Agricoltura, Daniela Valentini – con questo premio abbiamo voluto ringraziare e incentivare tutti quegli uomini e quelle donne che, con sacrificio e rinunce, hanno saputo investire in progettazione e innovazione, anche in tempi di crisi economica come quella che stiamo vivendo, contribuendo a dare impulso e lustro alle realtà imprenditoriali della nostra Regione».

Wyeth, del doman non v'è certezza

Teresa Faticoni
Volantini e bandiere e molta incertezza. Ieri mattina davanti ai cancelli della Wyeth in via Nettunense ad Aprilia Dario D’Arcangelis, segretario generale della Filcem Cgil di Latina, ha cercato di dar voce ai lavoratori della multinazionale del farmaco. Nello stabilimento regna l’incertezza, i lavoratori sono sottoposti a uno stress psicologico conseguente alla poca chiarezza rispetto alla fase di passaggio da Wyeth a Pfizer. Il colosso farmaceutico americano, per togliere dal mercato un competitor e come va molto di moda ultimamente nel mercato del farmaco, ha acquisito la Wyeth per 75 milioni di dollari. Un’operazione mastodontica, che comporta tempi lunghissimi perchè venga portata a compimento. La Pfizer è interessata soprattutto a tre linee di prodotti: emofilia, embrelle, vaccini salute donna bambino. E ha annunciato che prenderà in affitto da Wyeth, prima che sia concluso l’epocale procedimento di acquisizione, le tre linee di informazione relative a questi prodotti. E il resto? Rimangono 130 persone, che lavorano sulle linee ospedaliera e antibiotica, che non sanno cosa sarà domani. Si capisce come la situazione, piena di fatti che si spiegano solo se visti da un’ottica cinica di tagli e ristrutturazioni, possa ingenerare dubbi sul futuro dei lavoratori. Soprattutto se si pensa che Pfizer, quando ancora stava nello stabilimento di Borgo San Michele a Latina, ha aperto una procedura di mobilità (a livello nazionale) con la quale ha mandato a casa 369 informatori scientifici. Ma a che gioco stanno giocando? D’Arcangelis lo ha chiesto a gran voce. «Siamo preoccupati – ha detto ieri il sindacalista – ma siamo anche preoccupati per la sede». Pare infatti che la sede legale, una volta completata l’acquisizione, sarà spostata su Roma. Ma uno stabilimento solo produttivo, senza mente pensante, come può procedere? Sembra che l’intenzione del management sia quella di depotenziare il sito apriliano. «La direzione aziendale Wyeth  - denuncia D’Arcangelis ricordando anche il tentativo dell’azienda di rompere il fronte sindacale - sta gestendo i processi non coinvolgendo rappresentanze sindacali». Quale sarà il destino delle circa 500 persone impiegate in via Nettunense? Ancora è un mistero. Intanto le parti sociali annunciano un ricorso ex articolo 28: condotta antisindacale.

La sinistra che sta con fascisti, preti e latifondisti



Lidano Grassucci



A 14 anni mi iscrissi alla Fgsi (federazione dei giovani socialisti) perchè sognavo il 2000 (allora lontano) in cui gli uomini sarebbero stati liberi dalle superstizioni, in cui ciascuno avrebbe avuto valore per il suo lavoro e non per quello che “gli aveva lasciato il nonno”, o per il cognome che portava. Ho pensato a questa cosa mentre riprendevo mio figlio a scuola, ha la mia età di allora, e la scuola è la stessa. Allora immaginavo così domani. Invece? In questi giorni sono incappato in preti (Don Ciotti e Don Gianni Tony) che spiegano ai gentili come vivere, che hanno netto il confine tra il bene (loro) e il male (chi non la pensa come loro). Siamo nel 2009 in questo tempo nel mio tempo ragazzo pensavo che la Fede sarebbe stata dono di ciascuno, dialogo libero di ognuno con la sua coscienza e con il Signore. Pensavo che, sapendo tutto leggere scrivere e far di conto, non ci sarebbe stato spazio per sapienti in tonaca. Mi sbagliavo sono ancora lì a negare a me e agli altri la libertà di capire. E pensare che mia nonna, donna pia fino allo zelo, mi donò un vocabolario, della Zanichelli, diceva che se avessi conosciuto le parole poi avrei potuto capire il Verbo di Dio senza l’aiuto del “sor curato”.
Mio nonno era contadino senza terra e libero, piu’ vicino a Bakunin che a Marx. Non si toglieva il cappello davanti ad alcuno, manco al curato, men che meno ai fascisti per via che “fadio de lo me” (trad.  “lavoro del mio”). In Chiesa non metteva piede e di tanto in tanto cantava una spernza “se non sarà quest’anno sarà il prossimo anno anche i preti lavoreranno”. Si sbagliava, stanno ancora qui a spiegarmi come debbo pensare ed ad indicarmi il bene. Non mi piego e chi non lavora non è un uomo, non ha nulla da insegnare se non la superstizione. Nonno aveva le mani dure come il sasso per via della fatica sulla terra e… “la terrà, come il cielo, come l’aria è di chi lavora, è di chi lavora”. Per questo credevo che nel 2000 non ci sarebbero stati piu’ padroni, gente che diceva “il lago è mio”. Credevo che ciascuno nel 2000 sarebbe stato padrone del proprio destino, ciascuno avrebbe avuto opportunità eguali.
Invece: i preti mi spiegano il bene e il male e scomunicanti, i latifondisti (leggi Anna Scalfati) rivendicano la “roba”. Pensavo che l’ignoranza che porta ai fascismi sarebbe stata cancellata dalla faccia della terra dalla ragione, dalla emancipazione degli umili, e invece c’è gente che da retta, senza vergognarsene, ad un fascista come Giuseppe Ciarrapico.
Credevo a 14 anni che tutto questo preti, latifondisti, fascisti fossero retagio di un mondo passato, odioso, ignobile. E invece sono loro che mi danno lezioni di vita che danno del mafioso a chi non la pensa come loro, che bocciano gente come Claudio Fazzone reo di essere uno normale, di famiglia normale, di Fondi che vuole fare, pensate, il senatore. I suoi, i fondani, poi vorrebbero governarsi da soli senza essere guidati da preti antimafi, da fascisti e da latifondisti.
E i miei? La sinistra con chi sta? Sta con i fascisti, i latifondisti e i preti.
A 14 anni mi sbagliavo, a 50 non ho piu’ sogni. Ma non mi tolgo il cappello e questa gente continua a farmi ribrezzo. Continuo a stare dalla mia parte, senza ordini libero come l’aria. E se la sinistra sta con questa gente non ho niente a che spartire con loro, niente.
“Quando muoio io non voglio né preti ne Cristi, ma la bandiera rossa di tutti i socialisti”, non sono io che sono cambiato, è la sinistra che è morta. Sto con gli ultimi, come sempe, sto con i liberi, come sempre, non sto con fascisti, preti e latifondisti, come sempre.

PS: il sindacato dei giornalisti ha espresso solidarietà a Alessandro Panigutti che ha dato del mafioso a Fazzone. Sono stato querelato dalla signora Anna Scalfati, mi pare sia pure giornalista di Rai 3, non ho avuto alcuna solidarietà. Evidentemente la libertà di Panigutti è piu’ libertà della mia.
Ringrazio il sindacato che solidarizza con preti, fascisti e latifondisti. Mi scuserete, ma mi fa un po’ senso un sindacato così.