domenica 30 agosto 2009

I borghesi de Il Manifesto

 
Lidano Grassucci
Il Manifesto ci considera, lo ringraziamo. Ma quelli del Manifesto non erano comunisti? Non stavano dalla parte degli ultimi? Ora ditemi: chi è ultimo tra un ragazzo di Cisterna che lavora la terra che si è comperato, o che hanno comperato i suoi con tanti sacrifici, o un figlio di papà che si sta recuperando? E il sudore di quel ragazzo di Cisterna è meno sudore di quello del ragazzo che si sta recuperando? Noi non abbiamo contestato l'assegnazione a Libera della terra sequestrata alla mafia, ma che il sindaco sponsorizzasse il loro vino e non quello degli altri contadini di Cisterna, che caro Manifesto non sono mafiosi ma lavoratori. Dice, ma a quelli di Libera hanno bruciato la vigna, ci dispiace, la polizia vedrà chi sono questi malamente. Pure io ho avuto la scarlattina da piccolo, ma quando lavoro sono uguale agli altri. Compagni de Il Manifesto il vino non è mafio o antimafio è vino, si compera perché è buono. I ragazzi di Libera facciano del buon vino lo venderanno, ma il loro sudore non è diverso da quello degli altri ragazzi che lavorano. Sarà che vengo da una famiglia di contadini comunisti e senza terra e conosco la fatica, sarà che le terre a noi non le hanno regalate, sarà che non mi piacciono i tabù. Sarà che Il Manifesto non ha perso occasione per testimoniare la sua distanza dalla gente normale dagli ultimi, compagni io sono contadino e zappa’ è duro per tutti. Non ho accusato Libera, ho difeso il lavoro della mia gente, l'ho fatto, lo rifarei. I mafiosi hanno tabù e mammasantissima, i liberi hanno idee. La differenza è tutta qui.
Su Fondi? La penso diversamente da voi compagni, mi volete impiccare? Non siete diversi da Feltri che quando attaccano il suo padrone lui sputtana il contestatore. Siete uguali borghesi, piccoli piccoli.

Scauri ritrova la sua Arena

Marcello Caliman
Venerdì sera è stato un successo stratosferico la ‘Festa degli Sportivi’ per la riapertura dell’Arena Mallozzi di Scauri, tempio della pallacanestro locale. E va riconosciuto al responsabile alle pubbliche relazioni del Comune di Minturno Antonio Lepone di aver lavorato molto bene alla sua organizzazione, sapendo cogliere le attese e i desiderata dell'amministrazione comunale. Il sindaco di Minturno Giuseppe Sardelli, ex giocatore e già dirigente del Basket Scauri, ha voluto realizzare un momento ricreativo per celebrare la ripresa delle attività nel mitico impianto situato sul Lungomare, che è stato benedetto dal parroco di Santa Albina don Simone Di Vito. Al loro fianco l'assessore alla pubblica istruzione del Consiglio comunale dei ragazzi Matteo Marcaccio. Ha sottolineato il primo cittadino: «E' stata una piacevole occasione di incontro per centinaia di persone che hanno frequentato l’Arena, considerata patrimonio dell’intera città, punto di ritrovo per diverse generazioni». Dopo il taglio del nastro la serata è proseguita con la visione di una mostra fotografica e la proiezione di un filmato sui sessanta anni di pallacanestro scaurese. Poi è stato il turno della presentazione della squadra e dello staff tecnico - dirigenziale dell’Autosoft Basket Scauri, serie B. Un mega buffet per cinquecento persone con una torta gigantesca con sopra disegnati un delfino, simbolo del Basket Scauri, e un pinguino, simbolo del circolo che ha preceduto la denominazione dell'arena Mallozzi. A suo tempo all'ingresso vi era, in ferro battuto, il logo del pinguino che fu realizzato dal bravo e compianto artigiano Lorenzo Nocella. Sarebbe bello se alla sinistra dell'ingresso fosse montato uno nuovo a ricordo di un passato storico che gli scauresi non hanno dimenticato. Quindi i riflettori sono stati puntati sul Gran concerto d’estate dell’Orchestra da Camera Bulgara di Gabrovo, diretta dal maestro Ivan Stoianov, che è stato seguito con grande attenzione da centinaia di spettatori. E ora il ‘secondo tempo’ dell'inaugurazione, il sindaco di Minturno Giuseppe Sardelli comunica che venerdì prossimo, alle 20, presso l’Arena Mallozzi di Scauri, si disputerà la partita - maratona tra ex giocatori/giocatrici della Libertas, dello Sporting Club, del Basket Scauri e della Cestistica Scauri - Marina. Il raduno degli atleti, che hanno aderito alla simpatica iniziativa, è fissato per le 19.30. All’inizio saranno in campo  anche il primo cittadino Sardelli e il Presidente dell’Autosoft Basket Scauri Angelo Giardino, i quali indosseranno le maglie numero 1 delle due squadre che porteranno i nomi delle storiche società cittadine: la Libertas e lo Sporting Club. L’ingresso sarà libero. Sottolinea il Sindaco Sardelli: «Sono migliaia coloro che hanno militato nei sodalizi biancazzurri e sicuramente sarà impossibile vederli tutti all’opera sul rettangolo di gioco. Qualcuno, purtroppo, mancherà all’appello, ma sarà idealmente con noi, a giocare e a far festa per il recupero della mitica Arena, riaperta il 28 agosto scorso, dopo i recenti lavori di restauro finanziati dalla Regione Lazio e dal Comune di Minturno». Denominato all’origine ‘Circolo Il Pinguino’, l’impianto sportivo venne intitolato, nel 1969, al cestista scaurese Filippo Mallozzi, scomparso durante una gara. L’immobile ospitò manifestazioni, edizioni di educazione ambiente, gare di ballo e, per circa quaranta anni, le attività dei vari club cestistici locali. Dal 1967 al 1974, nell’Arena di Scauri, si svolse il famoso Torneo internazionale estivo di pallacanestro. Alcune edizioni della competizione furono trasmesse dalla Rai e commentate dal noto giornalista Aldo Giordani. Un ricordo – sia consentito a chi scrive – in onore del grande giornalista e dirigente sportivo Antonio Forte, morto tragicamente e che in tanti portiamo nel cuore, per sempre.




Formia - Porto Turistico: Io sogno Luna Rossa e l'America's Cup

Francesco Furlan

Formia come Palma di Maiorca o come Cape Town in Sudafrica. E,
qualora Patrizio Bertelli padrone di Alinghi si convinca, o un
equipaggio italiano, Luna Rossa, vinca il prestigioso trofeo, un giorno
ospiterà la Coppa America. Fantascienza? Si. Da una parte chi pensa al
porto turistico come un centro commerciale fuori dal controllo, dall’
altro chi rivendica un progetto, che avesse avuto 300 voti in più, o
300 in meno l’avversario, sarebbe già entrato nel vivo. Mi viene di
nuovo in mente Valencia che ospitò l’ultima Coppa America e gli Emirati
Arabi che ospiteranno la prossima. Per due anni gli equipaggi
partecipanti hanno stazionato in Spagna e lo stesso accadrà a Ras al-
Khaima. Tv da tutto il mondo, gente, pubblicità, economia. Immaginate
Formia e il Golfo ospitassero un evento del genere. Gaeta ha dimostrato
più volte di avere le condizioni di vento necessario per attirare
manifestazioni di questo genere ma non ha le strutture adeguate per
accogliere le imbarcazioni che Formia potrebbe avere se... non ci si
perdesse in banalità. Si deve scegliere cosa fare. E farlo presto prima
di essere superati. Aprire alle imbarcazioni, anche a quegli yacht a
motore che ci rovinano la vista, ma portano gente sul territorio, o
rimanere a guardare. Rifondazione Comunista qualche giorno fa parlava
di enorme speculazione commerciale... Ma davvero pensano che il porto
una volta terminato resterà vuoto? Se lo augurano? Se una cosa è vera
come il sole, è che in Italia mancano gli approdi. Ce ne è un disperato
bisogno a fronte di un mercato della nautica in continua espansione. E
di che stiamo parlando allora? Non basta il caso di Ponza a rendere
evidente le necessità? Si creerà una città nella città... Mah, ho forti
dubbi anche su questo. Chi va in barca non lo fa per rimanere, una
volta arrivato in una località, al sicuro nel suo porto. Altrimenti
città come Barcellona, Valencia, Maiorca, Cape Town e via dicendo,
avrebbero già chiuso bottega. Il velista o il diportista rimarrà nel
suo porto turistico ben costruito, e pieno di confort, se la città non
sarà pronta a riceverlo. Se non diventerà più affascinante di quanto è
ora. Bisogna sapersi vendere quando si comincia a pensare  a un
progetto ambizioso. Sono convinto che i commercianti, gli imprenditori
e tutti quanti vogliono un’occasione per rilanciare sè e Formia, non
aspettano altro che il progetto abbia inizio. Ricominciare con le
polemiche ora, è solo una perdita di tempo.

Ciao zio Bepi

Lidano Grassucci
Ieri mattina è morto mio zio Bepi (Giuseppe) Marzaro. Se ne è andato dopo aver chiesto alla moglie, zia Maria, di stirargli la camicia perchè  doveva andare, nel primo pomeriggio, a giocare a carte con gli amici da Marocco. Lui era un cispadanone grosso, elegante nasturale. Se fosse nato coniglio lo avrebbero tenuto per razza.
Veniva da Belluno, classe 1929, veneto fino all'osso, pura razza Piave avrebbe detto Gianni Brera. E' uno di quelli che mi ha cresciuto e con mio padre Antonio (razza Sezze purissima) litigavano alla grande. Gridavano uno in veneto e l'altro in sezzese, poi si minacciavano con la roncola. Ma lui, zio Bepi, è stato quello più vicino al suo “avversario” familiare durante la sua breve malattia, insieme fino all'ultimo. L'ho visto piangere per mio padre, come mio padre farebbe oggi per lui. Quando ci si saluta dopo una vita insieme non è facile.
Zio Bepi mi chamava con quel nomignolo che ormai da vecchio indosso ridicolo, Lillo. Stava litigato con mio padre, ma quando ebbi un gravissimo incidente stradale, non ci pensò un momento a presentarsi per donarmi il sangue. I cispadani di montagna non sono gente facile, non sono aperti al mondo, ma nascondono generosità spigolose che stupiscono. Ha vissuto al passo suo, non era esattamente Bolt, era più da maratona. Anche al bar, da Marocco, era permaloso, ma “pe’ gli amici” come erano gli uomini d'osteria di una volta. Rideva grasso alle feste di famiglia e aveva i tempi suoi, diciamo che era anarchico dentro. Era come sono le volpi, i lupi, era vissuto sempre libero e non sopportava ordini, forestico a tutte le autorità. Se ne è andato dopo aver telefonato ai fratelli che stavano a Varese, dopo averli salutati bene. Anche sabato sera era stato al suo posto al bar, come se lì ci fosse un impegno civile da rispettare, un impegno comunitario assoluto.
Parlava un veneto strettissimo, quello che a Belluno usavano nel '34, viveva in un suo mondo che non è cambiato, apparentemente mai, la Latina da costruire tanto lontana da questa costruita. Se ne è andato di botto, io penso per non far star male gli amici che avrebbero avuto l'onere delle visite di circostanza, lo avrebbero visto spegnere la lucidità del gioco della carta. E' andato via senza dar fastidio. Lo saluto, è un pezzo della mia vita che va via, rimane nella mia testa, nei ricordi. Ma non è uguale.
Ciao Bepi

sabato 29 agosto 2009

LA FORMICA ATOMICA - Il tempo della Res Pubblica

Lidano Grassucci
Inizia il percorso del Pd sulla scelta del nuovo segretario nazionale, e poi per quelli locali. È un momento importante per tutti, un sistema politico senza partiti forti e radicati produce mostri. Dal ’93 a oggi abbiamo lavorato per demolire i partiti. Il risultato? La politica è fatta solo di scontri su come vanno a letto i capibastione, i giornali sono i sostenitori di padroni, la magistratura decide sulla vita della comunità con diritto di veto. Il mondo sta affrontando il rilancio rispetto a un modello di sviluppo che è andato in crisi mentre noi abbiamo con consiglio di ministri di miss. Abbiamo un partito di magistrati, abbiamo un partito che vuole che ciascuno viva solo nel proprio odio. Non abbiamo sogni, non abbiamo idee di futuro. Qui ridono tutti, qui tutto è normale. Da noi c’è un solo argomento: la mafia a Fondi. Che è diventata come la febbre suina, tutti si preoccupano ma nessuno conosce uno ammalato. Abbiamo comperato vaccini di una malattia che non c’è, ma di cui si parla tanto. Per carità torniamo alla normalità, torniamo a fare ciascuno il proprio mestiere: i magistrati lascino la sociologia ai sociologi, i giornalisti lascino ai preti la morale, il capo del governo comandi, evitando (per rispetto e comunanza) di far multare dai suoi sindaci, quelli che vanno a cercare in un viale di periferia qualche minuto di felicità. Eviti di andare dai preti e racconti di sue debolezze private esaltando le sue virtù pubbliche. E dica a Feltri che la vendetta è propria dei deboli, i forti hanno le ragioni.
Ma non accadrà e la res pubblica è in pericolo. Speriamo che nasca un graNde partito di opposizione e poi uno grande di governi, seri e pieni di entusiasmo. E’ l’unica speranza, ma non mi pare il tempo.

RACCONTI - Il sognatore

 Lidano Grassucci
 Per esser strano era strano, aveva una camicia bianca linda. I suoi stivali erano lucidi e… e non aveva fretta. Da queste parti i forestieri bazzicano poco, del resto cosa ci vengono a fare. Non c’è niente e anche noi che ci siamo siamo poca cosa, anzi niente siamo per il curato. Io stavo sulla strada per via della velocità che mi contraddistingue. Mi chiamano lampo, se mi vedi sto già da un’altra parte. Il forestiero invece era lento e pure il cavallo non era proprio un campione.
Lo avevo seguito con lo sguardo dal piano, ora era davanti a me. Quando mi vede si ferma, del resto da queste parti non sono rari gli alberi o l’acqua, o le rovine mancano i cristiani. Mi scuserete nell’uso dei vocaboli, capii molto dopo che tutto aveva un suo senso e che, sbagliando, usavo il termine di cristiano per dire “uomo”. Ma io di non cristiani non ne conoscevo ad esclusione di un paio di giudii che c’erano nel paese ma mi sembravano tali e quali a noi. Li chiamavamo, i nostri ebrei, spagnoletti per via del fatto che, tanto tempo prima, erano arrivati dalla Spagna.
Altro non sapevo. Il forestiero a cavallo mi chiede: “ehi, ragazzino ma il paese?”. Parlava come i vecchi nelle osterie quando ubriachi giocavano con le poesie, parlava meglio del capo delle guardie del Papa quando parlava con il curato. Io pronto: “si arrivato”.
Portava come il breviario del prete, ma non era uguale e fino a quando non mi ha incontrato stava con gli occhi fermi sopra quella cosa. Incuriosito chiedo: “ma che è?”. Lui “un libro”. “Perché sapete leggere?”. Lui di rimando: “Tutti dovrebbero saper leggere”. “I no”. Già leggere, io sapevo leggere: sapevo leggere gli alberi, capivo da dove veniva il vento, sapevo leggere la cavalla e capire se si stava a incazzà, sapevo leggere la marina e vedere se veniva a piove. Sapevo legge il temporale che veniva dalla montagna e scappavo via. Ma ste cose mica le mettevo in fila con il leggere, fu lui, lo straniero a raccontarmele, poi. Quando si fermò.
“Non sai leggere” disse quella volta. “ma come, il curato non ti ha insegnato?”. Mi era già messo paura: “no, no, no. non saccio niente”. Che dicevo, papà quando era partito, alla prima rinfrescata per la palude m’aveva detto: “ statte zitto, non dì niente a nessuno”.
“Ah, tu non leggi. E tuo padre?”. A questa domanda sapevo rispondere, non era difficile, “no, no. nu nun leggemo”. Mi gonfio il petto, perché avevo conosciuto uno che leggeva, mi pareva pure bravo ma le guardie lo presero e lo hanno portato a Velletri, poi non l’ho più visto. Dice che voleva che il Papa non fosse Re, e che voleva esse Re lui, ma che roba. “Re – me disse nonno- c’ha da nasce”. E quello era nato proprio come noi, che Re non siamo.
Le guardie se lo so careggiato e non se seppe più niente. Papà, che nui chiamamo Tata, me disse: “visto figlio me, non legge mai ca so cose cattive. Facemo legge al curato ca isso sa”.
Mo perché mischio tutte ste cose non lo so, ma me ve. Ah, ecco perché. Pel forestiero.
Dice, lui, “non leggi e non sai di Roma?”. Roma, mo non sapevo risponde, a Roma c’era stata nonna pe via de certo lavori che faceva di ricamo e di uno, un gentiluomo, che li voleva pe la figlia.
A Roma c’era stato pure il curato, e il capo delle guardie diceva sempre quando stava al bar: “ave ricevuto ordini da Roma”. Boh, ma che è Roma?
Non parlavo, mica ero fesso. Questo era guardia.
“Non sapete che a Roma c’è la Repubblica?”. Mo, sarà forte che ero alto pe l’età mia, ma qua la cosa se faceva triste, che gli dicevo. La repubblica? E che è. Na volta avevo sentito parlare di sta repubblica i signori in piazza, io so curioso e sento, poi quando mi vedono (so Lampo) sto già ann’altro posto. I signori dicevano “E che è na repubblica qua”. Parlavano serio e in pizzo, erano cose importanti. Il curato: “Satanassi, satanassi”.
Mo questo che vo? “A Roma c’è la Repubblica, hai capito. Adesso sei libero”.
Libero? E chi mi ferma, chi mi ha mai fermato. Ma che vo questo, che libertà dice.
“Sono venuto a dirvelo, siete liberi siete italiani”. Boh, boh. Ma come sarei italiano, che è italiano. Io sono io, sono questa gente mia, cosa vuole questo.
“Ragazzo è tempo nuovo”. Faceva fresco come l’anno scorso di questi tempi, il tempo era tempo uguale. Che dice.
“A Roma Mazzini ha fatto la Repubblica, il Papa è scappato”. Il Papa è scappato? Qua se fa brutta, perché chi parla male del Papa brutta fine fa. “Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi”.
Io me ne vado, questo è matto di brutto. Nonno mio dice che il nonno del nonno suo doveva fa quello che diceva il prete. Mo il Papa scappa perché lo dice uno che è più del Papa: “Sto Mazzini è Dio, solo Dio è più del Papa”, gli dico deciso.
Lui mi guarda e ride: “No, no. Mazzini è un uomo, è un italiano”. Ero ignorante ma la capoccia mi girava: “Beh allora che vorresti dì che l’Italia è più del Papa”. Il forestiero mi guarda, gli occhi diventano lucidi come quando mi veniva da parlare di Filomena, la donna mia (ma lei mica lo sa ancora), e dice: “E’ più di tutto, è essere liberi. Uomini con gli uomini”. E tira fuori no straccio, bianco, rosso e verde. Dice: “ecco l’Italia”.
L’Italia è uno straccio? Lui alza quello pezzo di stoffa, in mezzo sul bianco c’era una scritta. Sento un botto, lui cade. Gli hanno sparato le guardie, gli hanno sparato appena visto quello straccio. Lui grida “Dio e popolo, viva la Repubblica, viva Mazzini”.
Era venuto a dirci che eravamo diventate persone, ma io non sapevo leggere.
Sono venute le guardie che hanno strappato la bandiera, il curato ha risolto tutto in fretta: “non entra in chiesa, ha bestemmiato”. Non era vero aveva parlato con me e non aveva detto niente di male, niente. Amava questa Italia come io Filomena mia, mi ha detto libero e non ho capito.
Che cosa mi doveva capitare. Lo hanno sepolto fuori dal camposanto, insieme a due giudii. Sulla lapide non c’è scritto niente. Forse finirà così st’Italia che sognava.

L'ARCINORMALE - Il paese malato

Lidano Grassucci
Qui tutto è commedia, qui nulla è serio. Siamo un paese ridicolo e vecchio. Un paese di paure, di servi sciocchi. Un paese dove l’ipocrisia regna sovrana. Il bianco omosessuale è razzista con l’uomo di colore, che non può vedere il disabile. Quelli del nord si sentono superiori a quelli del sud che hanno uno più a sud da discriminare. Non siamo veri, abbiamo case pulitissime ma gettiamo le cartacce in strada. Inveiamo contro i disonesti ma evitiamo di pagare le tasse. Siamo moralisti in proporzione inversa alla nostra moralità. I giornalisti spiegano agli amministratori cosa fare, ma evitano di candidarsi. In questo paese abbiamo inventato la mafia, ma anche l’antimafia per non lasciare nessuno disoccupato. Il male abita sempre altrove e siamo molto indulgenti con noi stessi mentre siamo rigorosi con gli altri. E’ un paese che fa ridere. Onoriamo un dittatore come Gheddafi, senza vergogna. Il nostro primo ministro va a farsi “perdonare” dai preti, che si guardano bene dal farlo. E nessuno, dico nessuno, scrive che uno Stato è se ha dignità. Italo Balbo valeva sui cieli di Libia da padrone, non da saltimbanco. Perché la Destra italiana non insorge, perché non si arrabbiano, perché non difendono la storia patria? Ma come danno stanno con Bossi che dice che l’Italia è una espressione geografica, come Metternich, e tutto va bene.
Il direttore di un giornale, un tal Feltri, attacca un collega di un altro giornale con fatti personali perché quello è reo di aver offeso il suo padrone. E non ha vergogna. Aveva ragione Metternich, non siamo un popolo, ma tanti servi in cerca di padrone. E dai servi non nasce un popolo, ci vorrebbero i cittadini, ci vorrebbero gli statisti. Ma, pare, siano terminati.

prima pagina 30 agosto

MINTURNO - Ora Adelchi può comunicare



Raffaele Vallefuoco
Il tanto agognato comunicatore per Adelchi De Filippo, ex docente di educazione artistica, affetto di Sla, è arrivato. C'è voluta tutta la determinazione della moglie Maria Di Nata e di Erminio Italo Di Nora, responsabile di una rete di sedici associazioni di volontariato presenti sul territorio, ma alla fine lo strumento è entrato in casa De Filippo, nell'abitazione di Scauri, dopo un importante pressing sull'opinione pubblica e «la sensibilità delle istituzioni» spiega Maria Di Nata, nei giorni scorsi vi era stata la visita e poi l'intervento presso l'Asl di Latina del sindaco di Minturno Sardelli. Ieri l'installazione e configurazione a opera dell'ingegnere Francesco Antonio Stefanile, della Tiflosystem di Padova, dirigente dell'area mobilità dell'azienda, con il quale è stato aperto un canale per il perfezionamento della macchina. «Si tratta di un semplice computer che, però è fornito di due programmi aggiuntivi. Un sintetizzatore vocale, utile a registrare brevi frasi o alla lettura di parole composte; e un sistema di telecamera con infrarossi, che attraverso una mappatura in celle dello schermo touchscreen, permette la selezione degli oggetti solo attraverso l'occhio. In pratica sarà possibile al professore guardare dritto un comando desiderato e questo permette di dare immediata esecuzione alla sua volontà. Questa è una nomenclatura standard sottolinea l'ingegnere - alla quale però si applicano quelle modifiche necessarie a far fronte alla situazione particolare. E' come per un sarto cucire un abito su misura», ma certo il risultato è stupendo: dare un sollievo a chi già vive un situazione delicata. Un computer che permetterà ad Adelchi De Filippo di accedere a contenuti audio e video, ma soprattutto di navigare su internet. «Ieri mattina - spiega Maria Di Nata, combattiva moglie del professor De Filippo - Adelchi era raggiante per l'arrivo del comunicatore. Ma certo lo aspettavamo molto prima. Doveva arrivare insieme al respiratore e invece è passato più di un anno da quando è in tracheotomia, giugno 2008» ricostruisce e incalza: «E' necessario che venga data la possibilità di comunicare». Uno strumento, questo, che può alleviare, ma soprattutto «è utile a tenere allenate le funzioni cognitive» incalza Francesco Antonio Stefanile, mentre termina di esperire le fasi di configurazioni del computer. «Nella mia esperienza - ricostruisce l'ingegnere rivolgendosi alla signora De Filippo - posso dirvi che siamo stati fortunati. In alcune aree il ritardo è ancora più drammatico. E' tutta una questione di Asl» ribadisce a Maria Di Nata. Il che significa che il tanto desiderato federalismo in Italia già c'è, nei fatti. Disparati trattamenti tra persone, in barba all'articolo 3 della Costituzione che recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese

venerdì 28 agosto 2009

prima pagina 29 agosto

SABAUDIA - Questa sera torna Moda media

Antonio Picano
Festa di fine estate 2009 a Sabaudia: i giornalisti della provincia di Latina si appropriano nuovamente di Piazza del Comune. Che per il quarto anno consecutivo sarà ancora scenario di “Moda Media”, la manifestazione a scopo benefico, nata da un’idea della collega Ebe Pierini, che vede una folta ed accreditata rappresentanza di reporters pontini proporsi nella per loro inusuale veste di indossatrici e di indossatori. Una proposta che ha incontrato il placet delle Amministrazioni Comunali che si sono succedute alla guida della città, ed un chiaro ed immediato successo di critica e di pubblico, e messo a dura prova la capacità ricettiva dell’ampia e storica piazza di Sabaudia. Non solo per la simpatia dei modelli, che con tanta generosità si presteranno al gioco, non solo per la qualità dello spettacolo, ma soprattutto per le finalità benefiche a monte dell’iniziativa. Nel 2007 il ricavato della raccolta servì al sostegno del progetto “Riscriviamo il futuro”, obiettivo principe della campagna internazionale lanciata dall’organizzazione umanitaria “Save the Children”, per garantire un'educazione di qualità entro il 2010 a 8 milioni di bambini in 20 paesi sconvolti da guerre oppure appena tornati alla pace. Nel 2008 fu devoluto per il potenziamento delle attrezzature diagnostiche del reparto pediatrico dell’ospedale “Goretti”. La somma che si riuscirà a mettere insieme in questa edizione 2009 prenderà la strada del comune abruzzese di Villa Sant’Angelo, dove sarà utilizzato per la ricostruzione del locale centro di aggregazione giovanile. Salvo defezioni dell’ultima ora, in passerella saliranno i  giornalisti Fabrizio Agostini. Andrea Apruzzese, Francesca Balestrieri, Giuseppe Baratta, Luisa Belardinelli, Ilaria Belli, Vittorio Bertolaccini, Gianluca Campagna, Pasquale Cangianiello, Francesca Cavallin, Roberta Colazingari, Daniela Cariddi, Maria Corsetti, Stefano Cortelletti, Giovanni Del Giaccio, Alessandra Ferrari, Memi Marzano, Daniela Novelli, Valentina Pacchiele, Alessia Tomasini, Sonia Tondo e Paolo Sarandrea. Vestiranno le creazioni da sogno, firmati da Francesca Cimini, Elisa Ciotti, Stefano Guglielmo, Fabiana Mastracci, Angela Natale, Verusca Neroni, Alessandro Pilato, Alessandra Ranucci ed Elisa Trinca, giovani ed emergenti stilisti del Made in Latina, gli abiti da sera de “L’Angolo degli Sposi” di Borgo Vodice e l’abbigliamento casual di “Gossip Uomo-Donna” di fabio Ceccariglia e Veronique. A presentarli Ebe Pierini e Mauro Bruno, ormai tradizionali conduttori della serata, su coordinamento del regista e coreografo Alessandro  Racioppi. L’organizzazione è curata dall’Assessorato a Cultura, Turismo e Spettacolo del Comune di Sabaudia, in collaborazione con il Sindacato Cronisti Romani e l’Unione Nazionale Cronisti Italiani, con il patrocinio della locale Amministrazione, della Provincia di Latina, della Pro Loco Sabaudia e del Parco Nazionale del Circeo, la cui magia si riverberà in un apposito segmento del defilé. Acconciature di Ddr Style di Latina, trucco da Estetica Regina, composizioni floreali di “Sabaudiaflor”. Ospiti le Village Girl’s, il comico Gabriele Marconi e un volto noto della musica leggera internazionale. Testimonial Francesca Rettondini. I biglietti sono ancora disponibili presso la Pro Loco Sabaudia.

La nobiltà perduta dei giornali

 
Lidano Grassucci
Voglio scendere da questo mondo dove è morta la dignità, il rispetto e la decenza. A sinistra, su L’Espresso, leggo che il caso Fondi si spiega tutto con rapporti personali di Ministri della Repubblica con persone di questa provincia. Non si dice e si insinua come con la Santa Inquisizione. Feltri sul giornale di Berlusconi attacca il direttore dell’Avvenire, reo di aver chiesto alla politica italiana, e al premier, comportamenti meno sfrontati.
Non amo i preti neanche un po’, ma odio ancor di più chi non argomenta contro altrui argomento, ma infanga. Non è stato il direttore di Avvenire a denunciare i comportamenti privati di Berlusconi, lui ha segnalato il suo punto di vista, da cattolico.
Non lo condivido, da laico penso che nel proprio letto ciascuno possa fare quel che crede. Contesto solo a Berlusconi di essere moralista pubblico, quanto indulgente nella sua prassi privata. Contesto a Berlusconi di essere allegro nella prassi privata e di voler andare alla Perdonanza con l’Arcivescovo de L’Aquila.
Craxi era forse anche più gaudente del nostro, ma non si sognava neanche di fare ipocrisie per ingraziarsi gli elettori cattolici. Era libero nella sua prassi, quanto nel rispettare quella degli altri.
Non avrebbe mai fatto la multa a chi andava a prostitute in via Nomentana, mentre lui se le portava in casa.
A sinistra non sono da meno: introducono elementi di pruderie su una questione che è di rispetto di una comunità. Fondi non è mafiosa, Fondi è una città di provincia italiana, come altre centinaia. La gente di Fondi lavora. La sua amministrazione se è “inquinata” deve essere sciolta dal Consiglio dei ministri che ha arbitrio di farlo. Ha arbitrio e responsabilità, non deve obbedire a quello che piace ai giornali, né il governo della Repubblica ha un arbitrio ottenebrato da aderenze personali dei ministri.
E’ ignobile quello che leggo, è senza nobiltà. La posizione del direttore di Avvenire, le sue idee, non sono meno se da piccolo aveva la scarlattina, la decisione su Fondi non è meno onesta se non risponde ai desiderati de L’Espresso o di qualche foglio locale.
Non ho alcuna stima di Feltri, non ho alcuna considerazione dell’Espresso. Mi preoccupo per questo paese alle prese con delatori e mistificatori di realtà.
Sul Corriere della Sera leggo che Fondi va sciolta perché hanno mandato agli arresti domiciliari alcuni funzionari del comune. Omette, quel giornale, che quegli arresti sono stati considerati dal tribunale del riesame, illegittimi. Dimentica il liberale Corriere che questo significa che liberi cittadini della Repubblica che non avevano commesso alcunché sono stati privati della libertà, che per un liberale è l’ignominia più grave che si possa compiere.
Ma questi sono i tempi che corrono e l’informazione è in mano a sciacalli. Sto con il direttore de L’Avvenire come sto con Fondi, duro essere liberi perché devi riconoscere la libertà degli altri. Con Dino Boffo direttore del giornale cattolico andrei volentieri a cena, con Feltri neanche morto. Andrei volentieri a cena con Luigi Parisella, non con il direttore de L’Espresso.  

La Perdonanza e Berlusconi

 
Lidano Grassucci
Ti monda dai peccati “La perdonanza”. Ti fa rinascere nuovo e “sana” i peccati. Sono 715 anni che è così, da quando Celestino V concesse che il peccatore con l’animo contrito che si recava alla Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila era lavato da tutti i peccati. La cultura di un popolo è fatta di simboli e quelli religiosi sono i più profondi. L’indulgenza è quella cosa che dà ai cristiani una nuova possibilità, è una sanatoria civile. Sarà per questo che il premier Berlusconi ci teneva tanto a esserci. “Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi” è l’adagio popolare che sta a significare che la Fede piega la politica ma difficilmente a essa si piega. Santa Romana Chiesa è sul mercato da oltre 2000 anni, ha resistito ai secoli bui del medioevo e alle sue eresie, ha retto alla ragione degli illuministi, ai venti delle nazioni che partirono dalla Francia, all’idea che la giustizia sociale è la nuova Fede fino all’edonismo del nostro tempo. Celestino voleva perdonare gli umili non graziare i potenti. Celestino fu “messo da parte” dalla chiesa del potere, quella dei nostri conterranei Caetani. Non è un caso che il presidente Berlusconi alla Perdonanza non ci sarà, non è cosa per signori. Quel tipo di perdono che lui va cercando è da vendita delle indulgenze, quella cosa che fece arrabbiare Martin Lutero e che privò Roma di tanti suoi fedeli, che fece irritare tutti gli umili che credevano nella “assemblea dei fedeli” e non nel “potere dei potenti”.
Celestino era monaco di montagna, era eremita che parlava solo con Dio. Sulle montagne solo con il nulla e il celeste. Nulla a che spartire con le corti romane sempre uguali, sempre gaudenti.
Celestino è Fede per la Fede, gli altri è apparenza per il potere.
Una volta si sarebbe detto sacrilegio. Poi le indulgenze furono vendute a chi più pagava per la grandezza della chiesa che si fece immobiliarista e diede al mondo San Pietro. Forse l’indulgenza va chiesta direttamente a Roma e quotata in borsa, ma gli eremiti non capirebbero.

PRIMA PAGINA 28 AGOSTO

TERRACINA - Il Comune non paga gli stipendi

A Terracina finisce anche il mito del 27 del mese (san Paganino si dice scherzando). Il Comune non ha pagato gli stipendi ai dipendenti. Ieri mattina Cristina Compagno, della segreteria della Funzione pubblica della Cgil, doveva essere in Comune per discutere di rivisitazione della dotazione organica e di un percorso di riqualificazione del personale. Ma è scoppiato il caos. Già da due giorni si era saputo che non c’erano le buste paga, e quindi nemmeno i soldi. Un caso rarissimo per le pubbliche amministrazioni, ma a Terracina succede questo e altro. Un primato in negativo commentato da più parti anche con sarcasmo. Per una questione di poste e banche l’amministrazione avrebbe dichiarato di non avere avuto la liquidità necessaria al pagamento dei circa 280 comunali in pianta organica a Terracina. «Il lupo perde il pelo ma non il vizio – dice Giulio Morgia, segretario della Fp Cgil -. Il sindaco e la sua giunta pensano di lucrare sullo stipendio lavoratori, sulle coop sociali, sull’immondizia e ora anche sui dipendenti. Si uniscono in un patto di solidarietà: sono tutti contro il sindaco. I cittadini di Terracina meritano ben altro che le false promesse». Ieri mattina la Compagno ha tenuto una assemblea d’urgenza, molto animata, perché i dipendenti sono sul piede di guerra. Ma Nardi, come nel suo stile, non si è presentato. C’era però, Antonio Bernardi, capogruppo del Partito democratico che ha dichiarato: «Dopo aver affogato di debiti il comune, adesso con il mancato pagamento anche degli stipendi ai dipendenti  si è toccato il fondo e, ammesso che ce ne fosse bisogno, per le spese allegre del comune fatte in passato, in modo particolare durante le elezioni del 2006, ormai la situazione economica-finanziaria del comune è disastrosa, e ha toccato il fondo. In queste condizioni, sarei tentato a chiedere il dissesto del comune, ma le conseguenze le pagherebbero solo i cittadini con l’aumento al 100% delle imposte e tasse. Credo che per il disastro compiuto dall’esperienza Nardi a danno della nostra città, non resta altro che rassegnare le dimissioni, togliersi di mezzo, andare alle elezioni anticipate per aprire una nuova fase amministrativa per la nostra città». «I lavoratori del comune pur non essendo pagati continueranno a lavorare per una questione di responsabilità», sottolinea la Compagno che ha scritto al prefetto Frattasi per chiedere un incontro urgente. I dipendenti rimangono in stato di agitazione con il blocco degli straordinari. Intanto, sotto la porta del Comune, cresce la fila dei creditori. Tra un po’ arriveranno fino al lungomare.  

Poste nel caos a Latina e in provincia

Teresa Faticoni
Vietato mandare una cartolina a casa se si va in vacanza. Il rischio è che arrivi al posto di quella di buon Natale e felice anno nuovo. Le poste a Latina e in provincia sono nel caos completo. Un inferno di timbri e pacchi che non trovano destinazione. Almeno 15 uffici postali sono stati chiusi a macchia di leopardo senza alcuna comunicazione alla clientela. Una decisione necessaria a permettere ai dipendenti di smaltire il monte ferie (a quanto pare immenso). «Avevamo chiesto, come previsto dalla legge, che l’azienda avviasse la procedura di consultazione - dichiara Carlo Bruno, segretario della Slc Cgil – ma non è stato fatto. Poste italiane ci aveva chiamato per una conversazione informale e abbiamo declinato l’invito». Pare infatti che le altre sigle sindacali non siano state coinvolte. Da qui, quindi, l’esposto avanzati alla direzione provinciale del lavoro da Bruno. Poste italiane, infatti, sta facendo smaltire le ferie concedendo periodi molto più lunghi di quelli previsti. Significa che i servizi all’utenza sono dimezzati e di qualità pessima. Un esempio su tutti. A Borgo Faiti sono riuniti in un solo locale di pochissimi metri quadrati sia lo sportello dello stesso borgo, sia quello di Sezze Scalo da quando, mesi fa or sono, ci fu un problema di tentato scasso nella frazione della cittadina lepina. Ora: se uno vuole fare una cosa per cui serve proprio l’ufficio di Borgo Faiti gli viene risposto che non lo può fare, perché l’ufficio è chiuso. Inutile raccontare lo stupore sulla faccia di alcune donne anziane che stavano dentro. Allo stesso borgo, dopo due rapine in pochissimi giorni, era stata istituita la figura della guardia giurata. Che però non si è vista quando apre Sezze Scalo. Ma forse stava in ferie anche il vigilantes. A Sabaudia, poi, proprio nei giorni intorno a Ferragosto è saltato il server. L’ufficio è stato chiuso per un paio di giorni con conseguenze inaudite per Pontinia e i borghi della città del parco. File che superavano anche le cento persone, senza aria condizionata e con la canicola a metterci del suo. Questo per quanto concerne la sportelleria. Perché per il recapito, forse, la situazione è anche peggiore. La corrispondenza viene consegnata una volta a settimana. Con bollette che scadono e disagi notevoli non solo per le more che i cittadini devono pagare. Se uno per esempio avesse idea di abbonarsi a un quotidiano, in quell’unico giorno di consegna avrebbe da leggere per mesi. Se, per esempio, uno che abita sempre a Borgo Faiti si lamenta, lo spediscono a lamentarsi a Borgo San Michele. Dove hanno appeso un cartello con il quale si avvisa che per reclami e cose del genere c’è a disposizione il numero di telefono 0773/264075 che però squilla a vuoto e nessuno si degna di rispondere. Il problema, poi, attiene anche alla difficoltà dei postini assunti a tempo determinato per pochissimi giorni a imparare come e dove mettere le lettere. Mancano, certo, i numeri civici. In alcuni comuni della provincia manca proprio la toponomastica. Con la conseguenza diretta che la posta torna indietro. E perché ci sono tanti precari tra i postini? Ci sono tanti dipendenti dichiarati inidonei dalla Asl. Tutti in ufficio dunque. E negli uffici se uno è addetto ai servizi bancari, non tocca una raccomandata o un bollettino nemmeno per sbaglio.

giovedì 27 agosto 2009

Le piscine naturali, Ponza e il degrado

Paolo Iannuccelli
Degrado di fine estate. Anche la tranquilla e splendida frazione di Le Forna, sull’isola di Ponza, è piena di problemi, le lamentele sono all’ordine del giorno. Può sembrare a tanti  inverosimile quello che sto per raccontare ma, mio malgrado, rappresenta la fotocopia di quello che Ponza sta vivendo in quest’ultimo  periodo,dopo la querelle sui pontili, ormai nota a  tutti e non ancora risolta. Una delle cale più belle e più frequentate dell’isola, le Piscine Naturali, tanto da rappresentare il suo fiore all’occhiello, conosciuta in tutto il mondo per la sua forma particolare, oggi è diventata sempre più oggetto di lamentele continue e del tutto giustificate da parte dei turisti. “Non si può assistere - dice il professor Pasquale Cardinale - all’indifferenza generale, all’uscita e all’attracco dei natanti senza rispettare le misure di sicurezza, anzi ci dovrebbero essere delle boe a delimitarne l’accesso. L’acqua è stata sempre limpida e trasparente, tanto che potevi ammirare i fondali addirittura ad occhio nudo, adesso vedete come è ridotta. Non solo, ma non è raro sentirsi le labbra cosparse di benzina o roba del genere, o vedere apparire addirittura a chiazze intrise di sporcizia. La prima volta che misi piedi alle Piscine - racconta Pasquale -, un veterano dell’isola, c’era solo Aldo Mignola del Nautilus, il famoso Cavaliere, uno dei pionieri, che si è sempre adoperato per tenerla pulita e decorosa. Dopo alcuni anni trovammo Emiliano che contribuì con le sue barche gialle a dare un ottimo servizio ai villeggianti. Oggi non si capisce più nulla. Regna l’anarchia assoluta. Con la chiusura di Cala dell’Acqua, per motivi di sicurezza, tutti i barcaioli che gestivano quello specchio d’acqua si sono riversati da queste parti. Il caos è indescrivibile, c’è pure una musica continua, diffusa con altoparlanti che con il passare dei minuti diventa assordante, rimbombante e martellante. Addio timpani. Se tutto ciò vuol dire riposo…”. Pasquale Cardinale, insegnante di Lettere in pensione, originario di Cassino ma ponzese per via di matrimonio, ama Le Forna in modo viscerale, le sue parole sono sacrosante. Chi dovrebbe controllare tutto questo baillame?  Esiste un assenteismo totale da parte di tutte le Autorità competenti. Diceva un isolano che quest’ultime si sono preoccupate solo durante un certo periodo dell’anno, quando si sono riversate sull’isola in assetto di  guerra, per fare controlli e perquisizioni a tappeto. Nemmeno il sindaco Rosario Porzio si  è preoccupato di tutelare e preservare da questo degrado ambientale, una delle discese a mare più rinomate, con i viottoli colmi di immondizia. E’ indecoroso per un accesso al mare. Si arriva a Ponza per poter usufruire di un angolo quieto, riservato, tranquillo e soprattutto di un lembo di mare pulito come pure di uno scoglio o di una piccola spiaggia adeguata. Il primo cittadino potrebbe interessarsi maggiormente del suo paese, ispezionando personalmente quanto riferiscono tanti turisti in modo da apportare più lustro e decoro alla sua isola meravigliosa, con controlli più assidui ed efficaci, così sarebbe meno oggetto di critiche. Adesso molti vacanzieri preferiscono andare alla
Caletta Costa del Sole, tanti anni fa piena di catrame ed ora grazie alla paziente opera di bonifica del gestore della baia, Silverio Gabresu, è diventata uno dei posti più chic e chiacchierati di Le Forna, dove grazie alle premure e alle cerimonie del gestore vi sentirete a proprio agio ed in un ambiente veramente familiare. Occorre pensare seriamente al futuro di Ponza, semmai con un’assemblea popolare da tenersi a fine settembre, alla presenza di forze politiche amministrative,l sociali, operatori turistici, tutti coloro che possono essere interessati al rilancio vero e fattivo dell’isola in vista del prossimo anno. Una discussione ampia e costruttiva potrebbe portare a nuove idee per promuovere il turismo con metodi nuovi e più moderni, la stagione sta per terminare con un notevole calo di presenze. E’ importante studiare attentamente il fenomeno e lavorare assiduamente per invertire la rotta.

Ronde e camicie colorate

 
Lidano Grassucci
Merolla, sindaco del Pdl di Cisterna, dice: “le ronde non servono”. Sono d’acordo e dico di piu’: o fanno ridere, o sono pericolose. Mi domando: chi è quella persona sensata che di notte si mette in giro, dopo che ha lavorato 8 ore, dopo che non ha visto i figli dalla mattina per difendere la virtu’. Li vedete questi appenzelliti, nullafacenti, che invece di giocare a tre sette passeggiano per città e campagna? Mi dicono, ma al nord quelli della Lega? Abbiamo già dato, e tanto, a quelli con le camice nere, mo quelle verdi no. Sono belle le camice hawaiane, le camice a righe. La tinta unita no, no è di chi non ha gusto o di imbecilli che giocano a fare i soldati. Ha fatto bene Merolla, faranno bene altri sindaci a impedire che questi dilettanti allo sbaraglio si facciano male.
Vengo dalla gente di palude, gente che ha vissuto per secoli con la democrazia del coltello. Da noi la mafia non attacca perché siamo, da sempre, armati ciascuno per se. Da 150 anni, soli, siamo italiani e abbiamo “digerito”, con non poche difficoltà, i carabinieri e la polizia. Abbiamo digerito con difficoltà che un libero demandasse ad altri la tutela delle sue ragioni. Vi immaginate accettare che un perdigiorno viene a sindacare su dove mi trovo, o su cosa faccio. All’ingresso di Cisterna c’è scritto: “città dei butteri”. Che vuol dire gente libera, gente che non conosce filospinato, confini, regole. Gente che non rispetta niente se non la propria libertà, mettere delle spie a controllare questa gente è come ingabbiare una volpe. E’ come chiedere a dei lupi di comportarsi da barboncini.
La sicurezza non è data da cretini che girano con le camice colorate, ma dal rispetto. Sapete perché abbiamo fiducia nei carabinieri? Perché quando tutti sono scappati, perché quando lo Stato era fuggito, loro sono rimasti nelle stazioni, nelle caserme, con la gente che aveva bisogno. Le camice nere se l’erano data a gambe, vigliaccamente e il loro capo non fu da meno. Facciamo così: i cittadini facciano i cittadini liberi, e i carabinieri facciano il loro lavoro.
E consentitemi: mandiamo Bossi a pascolare le vacche a Ponte di legno con Zaia, e Maroni a suonare la batteria. Lo Stato è una cosa seria, troppo seria per farci giocare sta gente. 

Gheddafi e l’Italia senza spina dorsale

 
Lidano Grassucci
Gheddafi è un dittatore, da 40 anni umilia e offende il suo stesso popolo. Ha cacciato gli italiani che vivevano lì da decenni, ha lanciato missili (ridicoli come sono le cose dei dittatori) contro Lampedusa, è il mandante di attentati terroristici, chiede all’Italia di chiedere scusa della sua storia. Ora il nostro primo ministro Berlusconi va da lui a rendergli onore. E le nostre frecce tricolori gli renderanno omaggio.
Dicono che è real politik (politica realista). Ho riversato su Berlusconi tante speranze, lui prometteva una rivoluzione liberale. Quindi mi aspettavo che agisse da liberale.
Invece? Fa il democristiano, se questo è era meglio l’originale.
Mi spiego: cosa avrebbe fatto un liberale? Quello che fece la signora Thatcher quando i fascisti argentini occuparono le Falkland, sostenendo che era una battaglia degli ultimi contro l’imperialismo inglese. Gli argomenti di tutti i dittatori, gli argomenti di Gheddafi. La signora non si mise a pietire o a chiedere scusa, inviò la flotta di Sua Maestà. Alla prima cannonata gli argentini si diedero a gambe. Lei aveva il senso dello Stato, conosceva la storia del suo paese, odiava i dittatori.
Dichiarò: “non parlo con i tiranni, loro vanno solo schiacciati”.
Noi non mandiamo la flotta, ma i nostri aerei a giocare. Noi faremo le fusa al dittatore beduino, noi ci vergogneremo della nostra storia, noi offenderemo gli eredi dei 20.000 italiani cacciati dal dittatore. Noi andremo a fare quello che non faranno gli inglesi, i francesi, andremo a onorare il tiranno. Mi sbagliavo non siamo davanti a Cavour o Giolitti, manco alla Thatcher ma a una ripetizione di Andreotti. E a me la melassa di Andreotti, la sua politica clerico-pietistica, faceva schifo. Un uomo libero non onora un dittatore, mai. La real politik è vigliaccheria semplicemente.
L’accordo di Monaco non ha fermato Hitler, gli aerei di Churchill (anche lui liberale) sì.

mercoledì 26 agosto 2009

LA FORMICA ATOMICA - Merolla e il vino antimafia

 
Lidano Grassucci
Merolla, sindaco di Cisterna, ha vietato di bere alcolici dopo una certa ora. Come se il vino o l’alcol facesse male solo con le tenebre, ma questa idiozia va di moda e tanti sindaci l’hanno fatta. Ma non è finita, il sindaco ha sollecitato gli operatori della sua città ad acquistare il vino prodotto da una azienda “antimafia”. Nel senso che è stata sequestrata a presunti mafiosi e consegnata a neocontadini. Non sapevo che i comuni potessero “sponsorizzare” i prodotti di aziende private. Ma non basta, perche a Cisterna gli altri produttori di vino non sono mafiosi, ma gente che lavora a cui nessuno ha regalato le terre, nessuno ha finanziato reinserimenti, e pagano pure le tasse. Essere normali, lavorare diventa in discrimine. L’azienda vinicola antimafia la terra non l’ha pagata, è un dono che la collettività ha fatto e ora pure la sponsorizzazione del sindaco? Dice ma lì si recupreno dei ragazzi in difficoltà? Capisco, ma i ragazzi normali? I figli dei contadini che hanno sudato la terra, che si fanno in quattro per continuare ad andare avanti, che non debbono essere recuperati perché dovendo lavorare non hanno avuto tempo di traviarsi?
Ora, passi che gli viene regalata la terra, passi che i centri di recupero vengano recuperati, ma pure raccomandati i prodotti no. Non è giusto, come se essere contadino normale, che suda fosse un reato.
Io raccomando il vino di chi lavora e basta, e da contadino continuo a bere il vino buono. E il vino non è nè mafia nè antimafia. Ma questo sarebbe buon senso, semplicemente, buon senso.
Odio la mafia, come odio tutti i prepotenti. Sono contadino di coltello nato libero da secoli, se uno mi fa un torto la pancia è l’obiettivo e non abbasso lo sguardo. Per questo non amo gli “antimafi” di professione e tutta la retorica che ne consegue. E un contadino di cisterna non suda di meno di un neo contadino “antimafio”. Bevete il vino che volete, all’ora che preferite, bevete poco, basta che siano “Libiamo ne' lieti calici. Che la bellezza infiora, E la fuggevol ora S'inebri a volutta'. Libiam ne' dolci fremiti Che suscita l'amore, Poiche' quell'occhio al core Onnipotente va. Libiamo, amor fra i calici. Piu' caldi baci avra'”. E almeno il vino sia di… vino.

L'ARCINORMALE - Guido libero, tempi cupi

 
Lidano Grassucci
Gianni Guido è libero. I pontili di Ponza no. Gianni Guido tornerà a una vita normale, alla vita civile. Rosaria Lopez non tornerà alla vita civile, sta nei ricordi. La strage del Circeo del 1975 è stato uno spartiacque nella società italiana: finiva l’idea che le donne non avevano diritti, non avevano la possibilità di vivere lo spazio e il tempo. La condanna della stragrande maggioranza degli italiani di quei cani pariolini, fascistoidi, figli di papà che ritenevano la vita degli altri, meglio delle altre, inferiore alla loro era finita.
Apparivano patetiche, ignobili, volgari i richiami al machismo, al dirotto del maschio, al fatto che se una donna era uscita di casa, era andata in auto, e in villa con uomini diventava “oggetto”. Si cancellavano per lei tutti i diritti, anche quello alla vita. Finiva per sempre il tempo in cui il mondo era declinato al maschile. Finiva l’idea di una giustizia a due velocità: una per i figli di papà, un’altra per tutti gli altri.
Non fu facile, le vecchie idee covavano vive sotto la cenere. Le vecchie idee stavano dentro le famiglie “bene”. Il doppio diritto continuava a vivere di fatto, ma si era aperta una fessura nella diga dell’ipocrisia italiana. Oggi? Gianni Guido trova una Italia che riscopre la doppia morale: se un signore va con una prostituta in via Nomentana viene segnalato dalla polizia, e mandata la multa a casa; il presidente del consiglio fa la stessa cosa da un’altra parte a 72 anni ed è virile. E’ fico. Ma la puttana non si chiama come le donne generose di De Andrè ma come una automobile della Ford. Ma la figura è la stessa del vecchio professore che di giorno chiamava la signorina pubblica moglie e la sera consentiva a lei di “mettere il prezzo” alle sue voglie. Diventava un bimbo il vecchio professore. Siamo tornati all’ipocrisia, la liberazione di Gianni Guido è un segno di questi tempi bastardi. Da ragazzo, insieme a tanti miei coetanei, sognavo un futuro senza ipocrisia, senza pregiudizi, senza retaggi medievali. Ora vedo in giro di nuovo le paure di certe religioni. Sarò politicamente scorretto ma quando vedo le donne costrette in nome di chissà quale Dio a mettersi quegli scafandri che chiamano burka, mi piange il cuore. Se Dio, o chi per lui, le voleva mandare così mascherate ce le faceva nasce. Ci ha fatti a sua immagine e somiglianza.
Sono tempi buoni per Gianni Guido, non per me. Non per quelli che come me hanno sognato la libertà.  

Fine pena per Gianni Guido, uno dei tre disgraziati del massacro del Circeo

Teresa Faticoni
Gianni Guido è di nuovo libero. Uno dei tre assassini del Circeo ha pagato il suo debito con la giustizia, ma non con la storia. Rimane, quella, una delle pagine più nere dell’Italia e di questa provincia. Sono passato quasi 34 anni da quel terribile 30 settembre del 1975 quando Guido, con Angelo Izzo e Andrea Ghira seviziò e uccise Rosaria Lopez e ridusse in fin di vita Donatella Colasanti in una villa del Circeo. Vennero gli anni del processo, che si tenne nel tribunale di Latina. Furono gli anni della coscienza civile, della coscienza femminile. Il massacro del Circeo ha lasciato il segno nei libri di diritto penale, nei testi di storia e nei volumi di antropologia. Poi sono passati gli anni. E il Circeo è quello che è: un posto di vacanze per romani ricchi, meta del turismo danaroso, vetrina per chi si vuol far vedere, obiettivo agognato dei poveracci che vogliono sentirsi vip per un giorno. Ma nella cronaca di Italia è rimbalzato spesso sulle prime pagine dei giornali perché i tre assassini hanno fatto di tutto per marcare di negativo le loro esistenza in vita. Angelo Izzo è in carcere: sconta un ergastolo per aver ucciso dopo aver seviziato una mamma e una figlia. Quando lo ha fatto, nel 2005, era in regime di semilibertà. Ghira è morto in Marocco. È nel cimitero dei legionari spagnoli. Storie disgraziate, non sol o le loro, ma anche di quelli che capitano sulla loro strada, fatta di evasioni, latitanze, misteriosi espatri, connivenze inspiegabili, famiglie silenziose distrutte ma unite dalle coperture. Guido fu condannato all’ergastolo in primo grado di giudizio, ma ebbe una riduzione di pena a 30 anni dopo una dichiarazione di pentimento e un risarcimento di cento milioni di lire alla famiglia di Rosaria Lopez che rinunciò a costituirsi parte civile. La vita dio una donna calpestata a quel modo, con quella cattiveria di tre giovani borghesi romani, inebriati di cultura simil fascista, vale tanto poco? Di fato tra condanne ed evasioni, indulti e premi per buona condotta (“silenzioso pentimento” dicono i magistrati) Guido ha passato in carcere poco meno di venti anni. Ora di anni ne ha 53 e dall’aprile 2008 il tribunale di sorveglianza lo aveva affidato ai servizi sociali con obbligo di residenza nella casa dei genitori. Torna libero, adesso.

martedì 25 agosto 2009

Prima pagina 26 agosto

LA FORMICA ATOMICA - Centro chiuso e fumi delle vacanze

Lidano Grassucci
Latina è una città vuota, ancora vuota. Molti vorrebbero intervenire per interdire al traffico delle auto il centro storico. Con il caldo e con qualche amministratore che torna dalla vacanza abbagliato dalle località di villeggiatura è cosa certa, come la fine dell’estate che porta con se il primo temporale di fine agosto.
Vengono innamorati: ma come a Roccasecca di sotto non ci sono le macchine in centro, che bello con la gente che passeggia, i bimbi che giocano. Poi vai a vedere e l’amena località diventata per l’amministratore girovago il centro del mondo, da settembre a giugno conta 200 anime, il parroco e 20 vacche maremmane.
Latina è una città, meglio è l’unica città del Lazio dopo Roma. A Latina non si viene in villeggiatura, a Latina la gente ci vive.
Latina non è città turistica, è città agricola, industriale e di servizi. Il centro “eroga” servizi pubblici, commerciali, finanziari e marginalmente mantiene una funzione residenziale. Ma non è il centro storico di città medioevali, o rinascimentali è un centro contemporaneo, con strade larghe, piazze che sono protorotonde. Se togli le auto (in movimento e in sosta) diventa un deserto. Diventa vuota, inutile. Gli umani sono come un moscerino dentro il lago di Garda. Poi cosa va a fare il “viandante” a piazza del Popolo alle 5 del pomeriggio quando il Comune è chiuso, la sovrintendenza pure, la commissione tributaria anche? Non c’è ragione per “andare” in quella piazza. E’ un vuoto perché non ha funzione. Le piazze sono, normalmente, luoghi di mercato, di scambio. Le nostre non hanno avuto questa funzione. Piazza della libertà è circondata da Prefettura, Banca d’Italia, un paio di assicurazioni, e la Provincia. Tutte chiuse alle 17, la ragione per andarci? Non c’è.
Infatti sono vuote. Togliete le auto e togliete l’auto ai canali, togliete il sangue alle vene.
Naturalmente passati i fumi della vacanza di chiudere il centro storico di Latina non si parlerà più, per fortuna.  

La morte di don Cesare Boschin

Paolo Iannuccelli
 Alle 10 del mattino, forse qualche minuto prima, da modesto e tenace cronista di una televisione locale  entrai con il mio amico Orly ed un cameramen, di cui non ricordo il nome, nella stanza del delitto. Fuori qualche parrocchiano che commentava così: “ Era un sacerdote vecchio e all' antica,  buono, generoso, sempre disponibile con tutti, anche con quegli sbandati, forse tossicomani, che l' altra notte lo hanno ucciso, soffocandolo nel sonno “. Cosi' se ne e' andato don Cesare Boschin, a 81 anni, originario di Trebaseleghe (Padova), era da 45  il parroco della chiesa di Sant' Annunziata di Borgo Montello, lasciando nello sgomento e inquietudine tutti i parrocchiani. A trovare il corpo senza vita del "parroco buono" e' stata la mattina alle 9, la fidatissima perpetua, Franca Rosato. Don Cesare era nel letto appoggiato a due cuscini, gli occhiali sul breviario, la bocca e le mani sigillate da nastro adesivo, ecchimosi sul viso e un asciugamano sui piedi. La stanza era sottosopra, armadi e cassetti aperti: evidentemente gli aggressori cercavano denaro. Che non hanno trovato, ma che durante la perquisizione dei carabinieri e' saltato fuori da un ripostiglio: 5 milioni, lasciati in eredita' a madre Teresa di Calcutta, secondo quanto specificava il testamento pure recuperato dai militari, guidati allora dal colonnello dei Carabinieri Basso, comandante provinciale. Per evitare che il sacerdote desse l' allarme, i rapinatori hanno imbavagliato don Cesare non sapendo che tale gesto sarebbe stato fatale: il parroco soffriva di enfisema polmonare ed e' morto per soffocamento. Sgomento, arrivò dopo pochi minuti il vescovo di Latina, monsignor Domenico Pecile che disse subito: "E terribile. Purtroppo ci credono ricchi e i ladri ci prendono di mira. Anche da me sono venuti tre volte”. Le indagini furono indirizzate, sia pure con discrezione, verso il mondo degli emarginati ed extracomunitari della zona (e che don Cesare da sempre assisteva) e verso quello dei drogati. A Borgo Montello esistevano due comunita' di recupero seguite da don Felice, della Curia di Latina, che ha sempre escluso ogni legame tra l' omicidio in canonica e gli ospiti: "Don Boschin . spiegò agli inquirenti - non conosceva nessuno dei 25 ragazzi, perche' da tempo non lasciava la stanza da letto e i ragazzi, a loro volta, non escono". Don Cesare si era ritirato dall' attivita' pastorale e si era rinchiuso in canonica per una strana forma di fobia e per prepararsi meglio - diceva - "al grande incontro". Celebrava messa in privato, era assistito dai suoi parrocchiani, dalla perpetua e da padre Mariano, un missionario passionista di Le Ferriere che lo stimava molto. Proprio padre Mariano e' stato l' ultimo a vedere don Cesare. Hanno cenato assieme e prima di andar via gli ha detto: "Cambi la serratura della porta, e' poco resistente".

Le terme di una volta

Paolo Iannuccelli
Quando l’amico giornalista Romano Rossi – un cultore dell’Agro Pontino - mi mostrò una cartolina a colori datata 1958, con scritto “Latina, saluti dalle Terme di Fogliano”, rimasi sconcertato, non sapevo che erano state in attività, ho guardato con interesse quella foto con persone che si stavano curando allegramente a Capo Portiere. Non mi sono più interessato a quelle terme, ho sentito parlare di società Condotte, di pignoramenti, di azioni legali, tante polemiche, seguendo sempre il tutto con molto distacco, quasi disinteresse. L’altro giorno ho incontrato al bar San Marco quel diavolo e discolo di Luigi Coletta,  attenta memoria storica della città, che mi ha davvero incantato con un suo racconto, un vulcano in eruzione nel farmi conoscere la vera storia delle terme di Fogliano e delle sue terme. In quel frangente ho pensato di nuovo a Romano Rossi ed alle sue migliaia di cartoline che parlano più di ogni altra cosa di Littoria e Latina, sono un tesoro da valorizzare. Luigi Coletta, 72 anni ben portati, termoidraulico di via Romagnoli, racconta così la sua esperienza: «Primo dopoguerra. Nei pressi dell’idrovora di Capo Portiere, durante la perforazione per i sondaggi promossi dal presidente dell'Eni Enrico Mattei per la ricerca di gas o petrolio nell’ex palude pontina, si diffuse la notizia che un getto d’acqua solforosa bollente ad alta pressione fuoriusciva da un foro di diametro di circa 20 centimetri di un pozzo trivellato a 100 metri dalla spiaggia per una profondità di 1.100 metri. Questo zampillo alto circa 20 metri, alimentato giorno e notte, fu oggetto di curiosità e di attenzioni. Ricordo che giovani e meno giovani si divertivano a passarci sotto a mo di doccia, alcuni rimediando qualche scottatura. Gli odori di zolfo, emanati dalla fonte del getto, venivano trasportati dal vento e si avvertivano in un largo raggio. La potenza, la quantità e la temperatura di quel getto erano tali che i tecnici perforatori non riuscirono in alcun modo ad imbrigliarlo. Si disse che la sonda aveva sfondato una vena d’acqua chiamato fiume sotterraneo e non una falda. Non fu più possibile recuperare la sonda. Per questo abbandonarono il pozzo, lasciando questo getto aperto e inutilizzato per anni. Al quel tempo il posto era poco abitato, gli unici fabbricati erano la casa cantoniera, l’idrovora adiacente l’osteria Zia Maddalena, un podere Onc. Ad una attenta analisi dell’acqua, si disse che le caratteristiche salsobromoiodiche erano utili per la cura delle malattie della pelle, eczema, psoriasi, reumatologiche”. Luigi Coletta è un fiume in piena, nemmeno un prosecco ghiacciato che gli propongono in una giornata caldissima lo riesce a fermare seduto davanti al bar di corso della Repubblica. Sa tutto, più di tutti. Prosegue così, senza tralasciare nulla al caso, lo sguardo s’illumina: “Si costituì una società termale e sotto la direzione del commendator Cimaglia, assistito dalla segretaria Fernanda, si iniziò la costruzione delle cabine termali complete di tavole per fangatura e vasche tuttora esistenti, per la sperimentazione delle future terme. Il guardiano della struttura era Mario Campanari, un mio amico carissimo. La sede operativa era la costruzione bassa ex colonia marina anteguerra (attuale Hotel Fogliano). Tra il getto del pozzo e le cabine furono installati una dozzina di serbatoi per il recupero dell’acqua che ricadeva e che, decantando, rilasciava sul fondo delle vasche i fanghi che si utilizzavano per le fangoterapie. L’eccedenza dell’acqua delle cisterne veniva incanalata in tubazioni di plastica da 8 cm, prodotte dallo stabilimento Pozzi di via San Carlo da Sezze a Latina, che alimentavano le singole vasche nelle cabine. Le stesse tubazioni si ostruivano molto rapidamente a causa dell’ enorme quantità di calcio presente nell’acqua, rendendo necessario il continuo rifacimento dell’impianto di alimentazione delle vasche terapeutiche. Questo ruolo fu affidato all’artigiano Enrico Pitton, molto stimato in città, di cui io ero a quel tempo dipendente e di conseguenza esecutore, insieme al mio aiutante e addetto ai fanghi Giancarlo Tanoni, della manutenzione continua degli impianti. Giancarlo era il figlio della signora Maddalena, titolare dell’osteria accanto (Zia Maddalena) ancora oggi esistente, da noi allora utilizzata come mensa”. La vena di Luigi Coletta non si ferma, è un uomo in piena forma, potrebbe tenere un comizio. Continua con fervore, mentre la gente diventa sempre più numerosa ed appassionata ad ascoltarlo, la storia di Latina piace, è un segnale incoraggiante: “ Le terme di Fogliano funzionarono – conclude Luigi - e furono aperte al pubblico pagante per due anni con ottimi risultati. Ricordo che una persona anziana benestante di quel tempo, dopo aver provato inutilmente svariate cure mediche per guarire da una grave malattia della pelle su tutto il corpo, guarì totalmente grazie ai bagni in quest’acqua miracolosa. La morte improvvisa del commendatore Cimaglia bloccò quest’iniziativa sperimentale e la vicenda finì”. Quello che ora rimane delle terme sono le cabine termali nascoste da un fitto canneto e un pozzo sigillato e recintato da una rete metallica. Coletta non finirebbe mai di parlare ma l’ora del pranzo ci allontana. Alle prossime cure termali. Ma quando?  

lunedì 24 agosto 2009

Prima pagina 25 agosto

L'ARCINORMALE - La nuova Italia di Zaia

 
Lidano Grassucci
Le università italiane si lamentano: gli aspiranti dottori non sanno leggere e scrivere. E ieri era tutta una meraviglia nei Tg nazionali e non solo. Perché tanta meraviglia? Ma a cosa serve sapere? A cosa serve studiare? Diventi deputato o senatore se sei nelle grazie di qualche capo, non devi sapere devi avere le giuste aderenze. E in parlamento mandiamo 1000 signor nessuno, nella maggior parte dei casi, che hanno, però le amicizie giuste. L’università? Le scuole? A che servono. In televisione non ci sono più giornalisti, ma belle (e belli) reggitori di microfono. Nessuna domanda critica, mai. Del resto i servizi sono: quanto fa caldo, con dissertazioni sul caldo effettivo (quello che misura il termometro) e quello percepito (che non si misura e possiamo dire ciò che vogliamo).
Bossi, tra le tante sciocchezze che fa passare per vere, ha proposto le gabbie salariali. Salari differenziati a secondo del posto geografico dove lavori. Per dirla in altri termini il sudore ad Agrate Brianza vale di più di quello di Gela. Come se nei due posti ci fossero uomini differenti. Nessun giornalista ricorda che in Italia questa barbarie c’è stata fino al ’69 e allora il nordest era terra di emigranti, con i salari da fame. Con l’abolizione delle gabbie salariali tutta l’Italia è cresciuta e il nordest, dove Bossi lo votano, anche di più. Ma i colleghi non possono chiedere, perché non lo sanno. Il ministro Luca Zaia ieri ha detto pubblicamente che “i respingimenti sono un atto di civiltà”. Il ministro è leghista e veneto e non ricorda di quando erano i veneti a sbarcare, senza permesso ma con tanta fame, in Argentina, in Venezuela. Ad andare dalle montagne del veneto su verso l’Austria o la Svizzera a fare gelati e dall’altra parte trovavano cartelli con la scritta: “vietato ai cani e agli italiani”. E gli svizzeri, gli austriaci non facevano differenze se eri italiano di Bergamo, di Treviso o di Trapani. Eri peggio del cane.
In America discutevano all’inizio del secolo scorso se gli italiani erano bianchi o neri. Passò l’argomento che erano neri e pure fatti male come neri.
Era civiltà pure quella ministro Zaia? Il suo Veneto era cosi povero che emigrarono qui da noi in Agro Pontino, non accadde il contrario, e nessuno (dico nessuno) pensò di respingerli. Sono figlio di quel mancato respingimento visto che mio padre setino senza nessun miscuglio sposò mia madre che veniva da Piazzola sul Brenta. E tra loro contò tanto l’avvenenza che l’uno riscontrava nell’altra e poco, o niente, l’origine regionale. Chi lo dice a Zaia? Chi lo sa.
Zaia, sta in formissima, dice che nelle maglie delle squadre di calcio bisogna mettere il simbolo della regione. Lo sa Zaia che l’Inter è l’abbreviativo di “internazionale”, che è nata per una Milano che si pensava città del mondo e non capitale delle Brianza? Lo sa che prima di lui un altro governo intervenne sulle squadre di calcio, il governo del maestro di Predappio che impose all’Inter di cambiar nome. Era romagnolo il dittatore a Bologna stava all’estero, e impose all’Inter il nome di Ambrosiana. Trasformando un club che guardava al mondo in una società di quartiere. L’Italia passò i guai suoi per questa storia, internazionale era un nome troppo, troppo socialista per il rinnegato Mussolini (fu direttore dell’Avanti).
Ma chi lo contesta a Zaia, non sapendo?
Il nostro, sempre Zaia, dice che a Rai tre debbono usare il dialetto. Ecco che dialetto. I miei nonni Bergamin erano di Piazzola sul Brenta in Agro pontino stavano a Santa Fecitola podere 1071, parlavano veneto, ma per farsi capire dai Gasperin (podere 1072) dovevano parlare in italiano perché quelli erano friulani. Distanza una scolina. Zaia come li facciamo parlare quelli di Rai tre?
Sono nato a Sezze e non capisco quelli che parlano la lingua dei Colli e di Suso, linea d’aria 100 metri, ma un altro pianeta linguistico. Per capirci come parliamo corese?
Zaia al G8 ha sostenuto che la fame nel mondo è una priorità. Certo, ma come si concilia con il fatto che lui da ministro propone che ciascuno mangi il suo, i chilometri zero? Senza scambio come trasferire beni da chi ha a chi ha bisogno? E come fanno a svilupparsi le agricolture dei paese poveri se il commercio è escluso e gli europei non fanno entrare nel loro mercato i prodotti del terzo mondo? Tengono artatamente alti i prezzi per mantenere gli agricoltori ricchi, impedendo a quelli poveri di poter migliorare la loro condizione?
Per far domande bisogna sapere. Ma chi sa più? Basta essere carini.
L’università? Inutile perdita di tempo.
Risultato? Zaia fa il ministro e Bossi comanda. Se vi piace, benvenuti nella nuova Italia.

LA FORMICA ATOMICA - Il popolo dei maiali

 Lidano Grassucci
Hanno tagliato l’erba lungo le strade pontine, sotto c’è di tutto. Mi sono domandato come fanno auto normali a portare tutta quella roba a bordo: bottiglie di plastica, bottiglie di vetro, buste, pacchetti di sigarette, cicche, fazzolettini, teloni in plastica, pezzi di stoffa. Protestiamo se vicino casa metto un antenne del telefono, ma viviamo in una discarica e nessuno dice nulla. Mentre penso questo uno davanti a me butta dal finestrino un fazzoletto usato, una ragazza elegante con la macchina trendy butta fuori dall’abitacolo la cicca di sigaretta ancora accesa. Dice, il governo è ladro, le pubbliche amministrazioni sono inefficienti. Consentitemi di aggiungere: ma noi siamo un popolo di porci. Vi invito a guardare di lato della strada quando siete fermi ai semafori, o allo stop. C’è anche chi fa il getto della busta piena di rifiuti sui rettilinei dall’auto in moto.
Per tacere delle strade meno frequentate: allora è un tripudio di divani, di televisori, di tavoli, di set da giardinaggio.
Sulla Pontina ogni piazzola di sosta è presa per una succursale di Borgo Montello. Ci sono interi salotti, tanto che le signorine che lì svolgono pubblico servizio gli danno una seconda vita riutilizzandoli per mettere in mostra la loro particolare mercanzia.
 Sentiamo sempre dire che gli italiani sono meglio di chi li governa. Mica vero, siamo un popolo di maiali arricchiti guidati da maiali che si pensano istruiti. La civiltà di un popolo? È determinata dalle cartacce nei luoghi pubblici e noi non siamo davanti neanche all’India.
Mi scuserete sarà politicamente scorretto, ma non abbiamo pessimi governanti, ma terribili cittadini.
Una volta un mio conoscente che era uso gettare tutto dal finestrino se ne è uscito: all’estero è tutto lindo e pindo, lì sono civili. Gli risposi: “No amico mio, è che lì non vivi tu”.

Green economy: la rivoluzione mancata... per ora





Raffaele Vallefuoco


La rivoluzione verde annunciata da Obama forse ancora non c'è stata, ma sicuramente ha concorso a pieno titolo nella conquista della Casa Bianca. In Italia ancora non ci siamo. Qualche zona si è attrezzata certo, ma di qui a parlare di rivoluzione ce ne vuole. Non foss'altro che il termine green economy appare ancora qualcosa di arcano. Eppure a parlare con gli addetti ai lavori si rimane a bocca aperta. Ci si chiede com'è possibile continuare con una politica miope che non riesce a vedere i benefici in termini di risparmio economico e preservazione dell'ambiente. Ci si stupisce del perchè ancora non si sfruttino a pieno le energie alternative. Scommetto che Dio è un ecologista e proprio alla fonti rinnovabili pensava quando ha fatto il sole e il vento. A vostro parere non avrebbe potuto creare qualcos'altro per la fotosintesiclorofiliana con tutti i poteri che si ritrova? Dio ha capito il grande potere delle energie alternative, è l'uomo che fa finta di non comprendere la portata di questa rivoluzione, sinora mancata. Incontriamo Alberto Ticconi, promoter regionale Emelcar dell'Emperia Group. Vuole spiegarci i vantaggi di avere un quadriciclo elettrico, magari affiancato da un sistema di impianto fotovoltaico a casa. «La Emelcar è un'azienda di Pescara che produce la gamma Eco City Car. Vetture che utilizzano come carburante la normale corrente di casa. Basta collegare una delle nostre vetture alla comune presa della corrente. E' sufficiente un euro di energia elettrica per percorrere circa settanta chilometri in città, ad una velocità massima di cinquanta chilometri orari. In questo momento stiamo sponsarizzando i quadricicli, ma nella gamma Eco City Car ci sono anche pick - up». E addirittura mini bus, come il modello shuttle, che può ospitare sino a 14 posti. Si può spendere in questo caso appena 16 mila più iva e ritrovarsi con un pulmino ecologico, utilizzabile per il trasporto cittadino o quello scolastico. «Certo le nostre vetture hanno ancora un design grezzo, ma i ricavi sono straordinari. Per chilometro una vettura elettrica consuma sino a 15 volte in meno rispetto ad un'utilitaria, fino a 20 volte rispetto ad un vettura di grossa cilindrata. Si spende un centesimo e mezzo per percorrere appena un chilometro. Ma in definitiva la grande convenienza è quella di affiancare queste vetture ad un impianto fotovoltaico. Una spesa di 15 mila euro, comporta un ricavo netto del 200% dopo venti anni». Un bell’investimento. «Ma è chiaro che quello delle energie alternative è un campo minato, sul quale dominano le grandi multinazionali, schierate a difesa dei propri monopoli. Tuttavia - conclude Alberto Ticconi - ciascuno di noi può intaccare questo potere decidendo di acquistare una macchina elettrica, o istallando un impianto fotovoltaico».

domenica 23 agosto 2009

SABAUDIA - Ialongo propone rievocazioni storiche sul lago di Paola

Antonio Picano
Dopo la recente ordinanza del Tribunale Superiore delle Acque a porre dubbi ora sulla demanialità del lago di Paola ci sarebbe solo l’Avvocatura dello Stato. Il pensiero è del geologo Nello Ialongo. Il quale tuttavia riconosce che, “al di là del problema della proprietà del bene, la parte dell’opinione pubblica, più attenta ai problemi del territorio e dello sviluppo compatibile, si sta sempre più convincendo che, attraverso un progetto di più ampio orizzonte, di tutela e valorizzazione del lago e delle zone archeologiche, si può determinare quel salto di qualità del turismo che ancora manca a Sabaudia”. La vera valorizzazione dell’area – considera - non può assolutamente prescindere dalla sua storia più prestigiosa, messa in evidenza da un immenso patrimonio archeologico, rappresentato dalle ville tardo-repubblicane, sulle quali furono successivamente edificati due monasteri (Sorresca e Casarini), dalla splendida villa imperiale di Domiziano, dalle maestose opere portuali, dalle tracce dell’ambizioso complesso di canalizzazioni progettato da Nerone per evitare la pericolosissima circumnavigazione di Capo Circeo, dalle ville rurali a mezza costa sul promontorio, dagli acquedotti, dalle necropoli e da altri reperti messi in luce da parte di archeologi che stanno attualmente lavorando con la collaborazione dell’Ente Parco sulle rive lacustri”. Parla da perfetto conoscitore dei fasti che hanno attraversato le sponde del lago il consigliere dell’Ente Parco Nazionale del Circeo e, pertanto, non ci sta “al tentativo di ricondurre il lago ad una sua storia minore, quella di un bacino interno, destinato solo alla pesca, inopportunamente chiuso verso quel mare che è stato teatro, e soprattutto via privilegiata, di una frequentazione di eccellenza, quale quella delle più alte gerarchie della Repubblica e dell’Impero di Roma”. Ed allora, approfittando dell’attuale interesse di Ministero, Regione e Provincia, “questo è il momento propizio per realizzare una vasta, complessiva, opera di restauro, anche con l’obiettivo di promuovere, con l’ausilio di storici e di archeologi, una sorta di archeologia viva”. Un’idea? “Il transito nel canale neroniano di navi romane, appropriatamente ricostruite, per condurre visitatori alle zone archeologiche; manifestazioni di poesia, musica, prosa, canti e danze, legati alla storia romana, presso la villa di Domiziano, potrebbero conferire ai luoghi un prestigio di carattere internazionale”. Ed, inoltre: “Evitando il folclore si potrebbero organizzare rievocazioni storiche, come fanno i comuni medioevali e rinascimentali d’Italia, una per tutte: l’arrivo attraverso il canale dell’Imperatore, proveniente da Ostia, con il seguito della corte, degli artisti e della scorta armata”. “Quanto sopra – tiene comunque a precisare - senza nulla togliere alla pesca, visto che al tempo dei romani, dal porto nel lago, partivano in continuazione per il grande mercato di Roma, navi cariche di pesce, e del “garum”, il cibo preferito dai romani”. “Basta con l’accettazione passiva – conclude - di decisioni che calano dall’alto, bisogna decisamente invertire la rotta se si vuole per Sabaudia un turismo di qualità”.

LA FORMICA ATOMICA - Milano da bere, Fondi da sciogliere

Sergio Corsetti
"Espressione giornalistica che definisce alcuni ambienti della città di Milano nel corso degli anni '80 periodo in cui il capoluogo lombardo era un centro di potere governato dai socialisti del periodo craxiano e attraversato dal benessere diffuso, dal fashion e dal rampantismo". Questa è la definizione data da Wikipedia di "Milano da bere". Fa tanto "Fondi da sciogliere". Frase che dà per scontata la presenza malavitosa nella amministrazione comunale nella cittadina del sud pontino e che pertanto deve essere smantellata. Sulla vicenda, al centro dell'attenzione politica ormai da troppo tempo, si è scatenata una vera e propria disputa basata più sull'appartenenza che sui fatti. Sono di centrodestra? Fondi è governata bene, da galantuomini, può andare avanti essendo stati gli amministratori liberamente scelti dal popolo. Sono di centrosinistra? Lì c'è il male assoluto. Urge una decisione di scioglimento da parte del Governo guidato da Silvio Berlusconi, che se non lo fa è solo per motivi di bottega. Probabilmente la situazione è più complessa. Molto più complessa. Se non si vuol far scadere la questione a un derby calcistico tipo Roma-Lazio, sarebbe bene evidenziare la complessità del caso. Se a Fondi c'è una presenza così radicata da parte della camorra e delle 'ndrine, tanto da essere attecchita nella pubblica amministrazione, allora non si capisce come lo Stato, attraverso gli organi deputati, magistratura e forze dell'ordine, non sia riuscito a estirpare questo cancro in tutti questi anni. In casi simili solo i giudici hanno la facoltà di applicare la legge nella maniera più ferma e dura possibile. Solo così lo Stato rafforza e conferma la propria sovranità. Se al contrario la situazione è limitata a situazioni circoscritte, quale potrebbe essere la realtà del Mof, allora non si capisce la necessità di sciogliere una giunta eletta democraticamente neanche tanto tempo fa. La soluzione potrebbe essere quella più semplice: lasciar agire le istituzioni serenamente e liberamente senza tentativi di interferenza o tifo da stadio. Il prefetto con la nuova relazione richiesta. Il consiglio dei ministri con una decisione come fosse un organo super partes sulla base della nuova legge. Magistrati e forze dell'ordine, di fronte a circostanziate prove di colpevolezza, colpire duramente i responsabili. Se necessario buttando la chiave.

sabato 22 agosto 2009

SCAURI - Mezzogiorno a mollo nella fogna




Raffaele Vallefuoco


E' bastato un attimo ieri mattina a Scauri per far scoppiare il malumore tra i bagnanti del tratto di spiaggia libera compreso tra i lidi Scauri e Aurora. Una bomba di nervosismo per la fuoriuscita di acque reflue dai canali di scolo di acque chiare che attraversano la spiaggia sino alla riva. Momenti di tensione che hanno richiesto l'intervento prima dei carabinieri della locale stazione e dei vigili urbani, appostati sul lungomare, e poi degli agenti della polizia provinciale e dei militari della Capitaneria di porto di Formia. Una task force per far fronte alla rabbia dei bagnanti, che in pochi secondi sono stati travolti da un'ondata di puzzo e acque nere. Erano le 12 quando l'ufficio marittimo della Guardia Costiera di Formia inoltrava la segnalazione al comandante Marco Vigliotti, impegnato nel monitoraggio delle acque antistanti il golfo. L'unità Alfa era all'altezza del Garigliano quando dalla radio in dotazione al natante giungeva la segnalazione. Il tempo di dirigere la prua verso Scauri che i militari mettevano già i piedi nella melma, contro la quale veniva immediatamente esperita una barriera di sabbia. Scene di straordinaria follia per il litorale di Scauri. Ad essere interessati al disagio anche gli utenti delle strutture immediatamente vicine alla spiaggia libera, che si portavano sullo stabilimento per invocare una soluzione o per rivendicare il rimborso. Poca cosa rispetto all'assedio di cui sono stati vittime gli agenti della provinciale e militari della capitaneria, che hanno dovuto interdire l'area. Momenti di tensioni che hanno raggiunto l'acme con la follia di un uomo che, per dimostrare la patogenicità di quelle acque, si è rotolato dentro e si è tuffato a mare, dove è stato raggiunto dai locatori dei pedalò, che proprio in quel tratto affittano i mezzi. Una soluzione, quella del sequestro, che si è resa necessaria per "garantire la sicurezza e l'igiene della pubblica incolumità limitatamente al tratto di arenile in questione" ha scritto il sindaco di Minturno nell'ordinanza che affianca l'ordine di interdizione della Polizia provinciale e della Capitaneria di porto. Secondo una prima ricostruzione gli operai di Acqualatina erano impegnati spurgare una condotta fognaria otturata nella zona prospiciente l'arenile. Una pressione fortissima che ha superato l'ostruzione e ha trovato una via d'uscita nel pozzetto di acque chiare del canale di scolo, finendo riversata sulla spiaggia, tra lo stupore dei bagnanti. Immediato è stato l'intervento della spa che ha esperito le necessarie mosse: prime tra tutte il tiraggio dell'acqua fuoriuscita. Ma è solo il primo step verso il libero riutilizzo dell'area. Infatti già nel primo pomeriggio di ieri al Comune veniva notificata dall'ufficio marittimo della Capitaneria la richiesta della bonifica della spiaggia, mentre i militari della Capitaneria hanno prelevato un campione dell'acqua fuoriuscita, consegnata in serata nelle mani di un responsabile ArpaLazio, per le necessarie analisi.

Pedemontana: le due verità




Raffaele Vallefuoco

Caldo e traffico sono i denominatori comuni di questo fine estate. Un bollettino che grava sulla quotidianeità di ciascuno di noi. Ma se per il caldo non possiamo far altro che andare a mare, per il traffico la partita si fa molto più complessa. La nostra città, è il caso di dirlo, si trova ad una svolta. O sterza, mettendo in campo politiche di prospettiva viaria e infrastrutturale, o muore. Soffocata dal caldo e dal traffico, dall'inciviltà e dalla prepotenza alla guida, incapace di metabolizzare migliaia di auto che la percorrono in largo e in lungo, rene che non drena il flusso di veicoli incolonnati. La via Appia, la Flacca, la Variante e il tratto Formia - Sparanise, sino alla cesura con la strada secondaria di Pietra Erta, vanno subito in tilt, come un imbuto che non lascia passare l'acqua che sgorga da una sorgente, ma ne viene inghiottito. Le soluzioni ci sono e sono di lungo e medio termine. A Formia viabilità infrastrutturale fa rima con Pedemontana. Tutti ne parlano: al bar, incolonnati nel traffico. I costi di finanziamento sono tutt'altro che marginali, circa 600 milioni di euro, ma l'assessore alle opere pubbliche Erasmo Ciccolella non dispera, anzi spiega: «Abbiamo fatto dei grossi passi in avanti. Il cantiere è stato aperto con i primi rilievi. Sono in atto le indagini geofisiche, e possiamo dire che la Pedemontana è sempre più vicina». Una vera chimera per il Pd. «In questo momento è un illusione - incalza Luigi De Santis, consigliere comunale d'opposizione. L'amministrazione ci dica se ci sono i soldi e qual'è il tracciato. I formiani sono stanchi di spot elettorali, e pretendono chiarezza». Una disputa che dura da anni. Meno di quanti però ne ha alle spalle l'idea di Pedemontana. «Mio padre Domenico - spiega il consigliere comunale Stefano Paone - parlava già di Pedemontana, ricordando che nel 1922 il sindaco Giovannoni lo aveva inserito nel Piano regolatore della città». Adesso però è il momento di superare i dissapori politici e pensare seriamente a concretizzare questo benedetto passante. Uno snodo fondamentale che va necessariamente coordinato con le sette A di Franco Purini, progettista del nuovo Prg. La città va ripensata, smontata e ricostruita. Gli spazi vanno ampliati e riconvertiti. Le strade si sono ristrette, tra parcheggi, motorini, suv e auto sui marciapiedi. Tutto sembra fermo, immobile. Ma non è così. Almeno a sentire l'assessore alle opere pubbliche Ciccolella: «Le nostre politiche vanno nella direzione della viabilità alternativa. Stiamo pensando ad un nuovo assetto a ragnatela che interessi l'intero impianto. Faccio solo alcuni esempi: sulla strada via Solaro - stazione la settimana prossima avremo un importante incontro, mentre sulla Formia - Sparanise siamo già al terzo tratto esecutivo». Come a dire nel medio termine ci stiamo attrezzando. L'estate ahimè è quasi finita, ma il traffico di fine stagione è quasi un monito agli amministratori di questo comune e ai loro rappresentati: a Formia o si agisce o si muore.

Fondi e il fuoco amico

Lidano Grassucci


Veltroni fa il suo lavoro, il Pd fa il suo lavoro. Cosa farebbe Fazzone se un paio di esponenti locali del Partito democratico sostenessero che Sezze, o Cori sono in odor di mafia? Farebbe quello che ha fatto Walter, farebbe l'opposizione, provocherebbe. Ma la questione di Fondi non è nel rapporto tra Pdl e Pd, ma dentro il Popolo della libertà, è un tumore dentro il corpo di quel partito. E' un tumore che nasce nelle stanze romane per combattere la forza elettorale di Fazzone e Cusani, forza elettorale che mette fuori gioco i tanti ragazzetti della Capitale capaci di stare tanto vicino a chi comanda ma che non hanno il voto neanche della moglie. Il cancro ha la faccia del senatore del Pdl Ciarrapico e dell'onorevole Conte. Non cercate in Veltroni il mandante di un eventuale omicidio politico (lo scioglimento del consiglio comunale di Fondi) ma la pistola fumante è nelle mani dei due parlamentari del Pdl. Insomma a Fondi se periranno sarà per fuoco amico, il nemico almeno è onorevole. Chi spara ai suoi non è certo un eroe.

Ponza, il sindaco minaccia la secessione

Franco Schiano

Un provvedimento della Giunta Regionale del Lazio del 15 luglio us pubblicato sul BUR il successivo 28 luglio sulla Disciplina delle diverse tipologie di utilizzazione delle aree demaniali marittime per finalità turistico- ricreative con il quale viene limitato ad in massimo mq 25 la grandezza “dei punti d’ormeggio” ha mandato su tutte le furie il sindaco di Ponza, Rosario Porzio.
Quella della definizione dei “punti d’ormeggio” è per gli operatori ponzesi una questione di vitale importanza. Infatti i pontili sequestrati con il famoso provvedimento dell’11 giugno, sono sempre stati considerati “punti d’ormeggio”, in quanto rispondenti al requisito essenziale essere facilmente rimovibili( sono galleggianti e stagionali) e destinati a natanti o piccole imbarcazioni (nessuno dei pontili aveva in concessione spazi d’acqua idonei all’ormeggio di barche di dimensioni superiore ai 10-15 m, quindi piccole imbarcazioni). Considerato però che le dimensioni dei pontili di Ponza variano da un minimo di 150 a un massimo di 250 mq , si può capire facilmente come la decisione della Regione Lazio di limitare le loro grandezza a soli 25 mq mandi su tutte le furie il Sindaco Porzio, che ben comprende le esigenze dei “pontilari” ponzesi, che per la prima volta si vedono definire per legge – ed in modo decisamente penalizzante - l’estensione dei pontili. Un ulteriore mazzata arrivata alla fine di una estate catastrofica per il turismo ponzese, non poteva passare inosservata sull’isola, ed ecco che il Sindaco Porzio ieri ha diffuso la seguente nota :“Mi sento veramente preso in giro, e con me tutta la comunità ponzese, per il comportamento poco corretto tenuto dalle Regione Lazio, nella gestione delle vicende relative all’area portuale. Nonostante la Regione abbia istituito un ufficio per le problematiche delle isole ponziane, solo questa mattina, sono venuto a conoscenza occasionalmente dagli organi di stampa del regolamento approvato dalla Giunta Regionale del Lazio con il quale – tra l’altro – si limita a soli 25 mq le dimensioni massime dei punti d’ormeggio, senza alcuna possibilità di ampliamento, a differenza delle altre attività ricreative. Ciò comporta – prosegue Porzio – l’impossibilità di allestire punti di ormeggio nel porto dell’isola, essendo praticamente impossibile operare con dimensioni così ridotte, soprattutto in ragione della conformazione idrografica del nostro porto. Anche se fosse possibile installarli – aggiunge ancora Porzio – su manufatti di tale ampiezza è possibile consentire l’ormeggio, al massimo di un paio d’imbarcazioni a differenza di quanto invece avviene in altre regioni, con una cultura nautica, marina ed insulare ben diversa da quella laziale(vedi campania e sicilia). Non si comprende perché gli uffici regionali durante le varie riunioni succedutesi in questa estate, non abbiano mai fatto parola della elaborazione in corso di detto regolamento. Mentre in alcune stanze si procedeva a riunioni dilatorie che non hanno prodotto alcuna utilità, in altre si predisponevano gli atti necessari per “liberare” il porto di Ponza dai pontili, una della maggiori risorse dell’economia dell’isola. Mi chiedo- prosegue il Sindaco – perché il Presidente Marrazzo dopo aver pubblicamente dichiarato la sua volontà a risolvere i problemi dell’isola abbia poi adottato un provvedimento così punitivo che farà uscire l’isola dai maggiori circuiti della nautica da diporto, facendola tornare ad essere un povero scoglio. Questo vuole Marrazzo? Sarebbe quindi opportuno che egli venga a Ponza a spiegare alla collettività quale sia la sua reale volontà sul futuro dell’isola. Perché nel bilancio regionale non è inserita nessuna voce per il suo sviluppo? Perché ancora non c’è un programma per il miglioramento dei trasporti e della sanità locale?
Auspicavo – aggiunge, con una chiara vena polemica, il Sindaco di Ponza – che la Regione Lazio avesse nei confronti di Ponza la stessa attenzione che la Regione Campania riserva al suo arcipelago. Non vorrei che l’alternativa migliore fosse tornare alle origini. Certo è – conclude Porzio – che l’Amministrazione comunale di Ponza non lascerà nulla d’intentato per ottenere l’annullamento di un provvedimento così penalizzante per la propria comunità.”